Che confusione!

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Come era facile immaginare, neanche la sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso anno ha modificato il trend positivo del consumo di bevande vegetali. La sentenza ribadiva come la denominazione “latte” non sia attribuibile alle bevande vegetali, fatta eccezione per quelle di mandorla e di cocco. Da allora poco o nulla, e un’altra “Giornata mondiale del latte” con grida di allarme sul calo di consumi di latte nel nostro Paese. Nel 2017, seicentomila italiani si sono aggiunti agli undici milioni che già consumavano queste bevande (dati Nielsen). Quasi dodici milioni di consumatori pronti a pagare un litro di queste bevande 2-3 volte in più rispetto al latte alimentare. Un business a cui non è rimasto indifferente neanche un colosso americano del beverage con una nuova linea di bevande vegetali per soddisfare “sempre più persone alla ricerca di ingredienti naturali, bevande nutrienti e con meno zucchero”. Un player da novanta con capacità comunicative e di fidelizzazione impressionanti rispetto alle obsolete e scontate campagne pro latte fin qui messe in atto. Quando sul mercato arriveranno anche le bevande vegetali di terza generazione (legumi, canapa o altro), il latte alimentare rischia veramente di finire con le ossa rotte. E, consentitemi la battuta (ma non tanto), anche il consumatore visto che di questo passo il consumo di latte non verrà più raccomandato neanche per l’apporto di calcio.

Certamente parte del business trae vantaggio dalla credenza che il latte faccia male e che le bevande vegetali siano salutari. Molto più diffusa la convinzione che invece sia il risultato di una confusione tra denominazioni potenzialmente ingannevoli. Non solo tra gli addetti al settore in Italia, ma per esempio anche in Francia. Secondo un recente sondaggio commissionato dal Cniel, gran parte dei consumatori francesi è in totale confusione merceologica e, ahimè, nutrizionale. Chiama yogurt, formaggio, latte ciò che non lo è, cioè le bevande vegetali. Crede che le bevande vegetali forniscano le stesse sostanze nutritive del latte, soprattutto calcio. Pericolosamente pensa che le stesse bevande possano sostituire il latte e che magari per questo siano adattate alle esigenze nutrizionali dei bambini. Insomma, una pericolosa contiguità di immagine e contenuti (nutrizionali).

Di certo il problema si deve risolvere facendo comprendere la non sostituibilità del latte animale con “quello” vegetale. Ma la rivitalizzazione dell’immagine e dei consumi di latte non può avere successo solo gridando al lupo chiamato bevanda vegetale. Occorre comprendere e implementare nella comunicazione alcune delle motivazioni che spingono il consumo di bevande vegetali. È necessario convincersi che il consumatore trova nelle bevande vegetali dei plus che non percepisce nel latte, magari perché non esistono o ritiene più difficili da realizzare. In questa prospettiva il tema di una maggior sostenibilità della filiera diverrà importante quanto quello della nutrizione. Insieme a quest’ultimo dovrà necessariamente far parte di un modo diverso di comunicare il latte al consumatore confuso, ma non troppo.