Composizione microbica di latte crudo e derivati: approcci molecolari

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Il latte crudo ospita una popolazione microbica complessa o “microbiota” che comprende batteri tecnologicamente importanti, quali batteri lattici (LAB), ma anche batteri responsabili del deterioramento che hanno effetti negativi sulla qualità del latte e dei derivati, per non parlare dei patogeni. I metodi tradizionali per determinare la natura del microbiota del latte sono quelli colturali che si basano sull’isolamento e la coltura dei microrganismi prima della loro identificazione in funzione del fenotipo o del genotipo.

Si è visto però che gli approcci che richiedono un passaggio colturale risultano spesso inaccurati perché le specie presenti a bassa concentrazione possono essere mascherate da quelle più abbondanti o possono non essere coltivabili in laboratorio. Per questo motivo sono stati introdotti approcci coltura-indipendenti che attraverso l’analisi diretta del DNA o dell’RNA, senza bisogno di un preventivo passaggio colturale, permettono di determinare la composizione microbica di un alimento. Si tratta di tecniche più sensibili e rapide rispetto ai tradizionali metodi di analisi coltura-dipendenti, che, pur presentando ancora alcuni limiti, sono risultate affidabili per la rivelazione e l’identificazione dei microrganismi presenti nei prodotti lattiero-caseari.

Una review pubblicata su International Journal of Food Microbiology fa il punto sui metodi molecolari applicati all’analisi del latte crudo e dei formaggi da latte crudo evidenziando i progressi ottenuti in questo settore [1].

Distinguere tra microrganismi vivi e morti 

Uno dei limiti tradizionalmente attribuiti all’analisi del DNA è legato all’incapacità di distinguere tra cellule vive e morte, che però è un fattore importante per comprendere il processo di caseificazione: in seguito a lisi, infatti, le cellule rilasciano componenti intracellulari che contribuiscono allo sviluppo del flavour e dell’aroma di un formaggio. Negli ultimi anni è però aumentato l’uso di coloranti del DNA come etidio monoazide (EMA) o propidio monoazide (PMA) che, penetrando nelle cellule morte e colorandone il DNA, ne prevengono la successiva amplificazione PCR. Alternativamente, si può utilizzare l’RNA come target specifico di cellule vive, che permette anche di monitorare la microflora attiva.

Regioni bersaglio

La maggior parte delle analisi molecolari si basa sull’uso della PCR per amplificare la regione di interesse, previa estrazione degli acidi nucleici dalla matrice alimentare. I target più comunemente impiegati per l’identificazione di specie sono i geni codificanti l’RNA ribosomale (rRNA) 16S e 26S, rispettivamente per batteri ed eucarioti. Queste regioni sono state scelte perché possiedono sia domini conservati, che facilitano l’uso di primer PCR universali per amplificare porzioni geniche, sia domini ipervariabili che permettono l’identificazione dei microrganismi corrispondenti.

Limiti e vantaggi della tecnica coltura-indipendente

Per distinguere tra ampliconi 16S/26S con differenti sequenze “firma” si usano diversi metodi, quali sequenziamento del DNA, elettroforesi su gel in gradiente denaturante o in gradiente di temperatura (DGGE/TTGE) o l’analisi dei polimorfismi di conformazione del singolo strand (SSCP). (Figura 1).

Panoramica dei passaggi
di un sistema di verifica degli alimenti di tipo coltura-indipendente.
Qui sono illustrati a titolo di esempio
i metodi DGGE/TGGE, SSCP e qPCR

Per scegliere la tecnica più adatta, bisogna individuare chiaramente la domanda a cui si vuole dare una risposta. Queste tecnologie (tabella 1) possono servire a studiare la diversità microbica generale di un ecosistema e/o per identificare specifici microrganismi presenti. Possono anche essere usate per testare i microbi in maniera semi-quantitativa, come per esempio DGGE o T-RFLP (Terminal Restriction Fragment Length Polymorphism) o quantitativa, per esempio la real-time PCR (qPCR). Alternativamente, dove è richiesta una verifica della distribuzione dei microrganismi in una matrice alimentare, si possono utilizzare tecniche come l’ibridazione fluorescente in-situ (FISH).

Tabella 1 – Principali metodi genomici per descrivere i microorganismi in latte e formaggi [1]
I metodi quantitativi come la PCR quantitativa (qPCR) oltre a permettere di quantificare gli acidi nucleici e quindi i microrganismi presenti, offrono maggiori precisione e specificità, ma anche alcuni svantaggi: la qPCR non permette di quantificare un gran numero di target diversi in un singolo campione e quando il numero di cellule è basso diventa poco riproducibile. Anche gli approcci basati sull’individuazione di pattern elettroforetici diversi possono soffrire di problemi legati a un risoluzione inadeguata; hanno però il vantaggio di permettere l’excisione dal gel delle bande separate, facilitando il sequenziamento e l’identificazione dei microbi mediante confronto con ceppi di riferimento.

Ultimamente sono state anche introdotte tecniche di sequenziamento del DNA di nuova generazione che stanno a poco a poco sostituendo altri approcci coltura-indipendenti, grazie ai ridotti volumi di reazione e all’alta produttività.

Valutare la diversità microbica in latte e formaggi

Negli anni recenti, diversi studi hanno applicato i metodi molecolari per valutare la diversità microbica nel latte. Per il latte di capra sono state usate due tecniche, l’analisi SSCP del DNA, estratto direttamente dal latte, e la tipizzazione RFLP delle colonie isolate su piastra di agar, che hanno entrambe identificato le stesse specie, anche se l’approccio basato sulla coltura è risultato molto più laborioso [2]. L’analisi ha evidenziato anche una variazione stagionale nella composizione microbica del latte: un fattore importante perché alcune variazioni possono per esempio alterare il flavour del formaggio.

Candida e Saccaromyces che i metodi colturali tradizionali non avevano identificato [3].

Quasi tutti gli studi su formaggi hanno evidenziato una maggiore diversità microbica in quelli prodotti artigianalmente rispetto ai formaggi industriali. Ciò dipende probabilmente dal frequente impiego nei formaggi artigianali di latte crudo e dall’assenza di starter a composizione definita, come dimostra per esempio l’analisi DGGE di formaggi da latte di pecora o capra in cui la flora era maggiormente diversificata nei prodotti artigianali [4]. Il sequenziamento di nuova generazione è stato recentemente applicato al formaggio da latte crudo, permettendo di rivelare una popolazione microbica subdominante non rilevata con l’analisi DGGE [5].

Ricerca di microrganismi patogeni e di deterioramento

Alcuni studi hanno evidenziato la capacità dei metodi coltura-indipendenti di identificare rapidamente microrganismi patogeni e di deterioramento importanti per l’industria dairy, tra cui Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (MAP), S. aureus e clostridi. In uno studio recente su oltre 300 campioni di latte risultati negativi per MAP dopo mesi di isolamento con approcci coltura-dipendenti, circa un terzo è stato trovato positivo applicando un approccio di qPCR [6].

È stato sviluppato un metodo qPCR anche per la rivelazione di S. aureus in latte vaccino a basse concentrazioni (1-10 ufc/mL), risultato circa 50 volte più sensibile dei metodi su piastra [7].

Per quanto riguarda poi clostridi, tra i principali responsabili del problema del rigonfiamento tardivo dei formaggi, l’analisi DGGE ha permesso di identificarne quattro specie in formaggi da latte crudo [8].

Concludendo

I ricercatori sottolineano gli enormi vantaggi degli approcci coltura-indipendenti che permettono di rivelare microbi difficili o impossibili da coltivare, facilitando lo studio contemporaneo di microrganismi vitali ma stressati.

I metodi molecolari hanno permesso di studiare la comunità microbica del latte crudo e dei formaggi da latte crudo, di comprendere meglio il ruolo dei microrganismi nello sviluppo del flavour, e, grazie alla maggiore sensibilità e rapidità rispetto ai metodi colturali tradizionali, di migliorare la qualità e la sicurezza dei prodotti lattiero-caseari.

Tra i recenti avanzamenti nel settore rientrano l’identificazione, per la prima volta, di vari microrganismi da latte e formaggio, quali batteri corineformi, Pseudoalteromonas e Halomonas in core di formaggi [9] e S. thermophilus in formaggio spagnolo.

Altri studi hanno evidenziato la capacità dei metodi coltura-indipendenti di identificare rapidamente microrganismi patogeni e di deterioramento, tra cui MAP, S. aureus e clostridi. L’applicazione del sequenziamento di nuova generazione potrebbe spingere notevolmente la ricerca in campo alimentare, compresa quella su latte crudo e formaggi derivati.

Silvia Guenzi

Bibliografia

[1] Quigley et al. International Journal of Food Microbiology, 150 (2011): 81–94

[2] Callon et al. Systematic and Applied Microbiology, 30 (2007): 547–560

[3] Cocolin et al. International Dairy Journal, 12 (2002): 407–411

[4] Bonetta et al. Food Microbiology, 25 (2008): 786–792

[5] Masoud et al. International Dairy Journal, 21 (2011):142–148

[6] Slana et al. International Journal of Food Microbiology, 128 (2008): 250–257

[7] Graber et al. Journal of Dairy Science, 90 (2007): 4661–4669

[8] Cocolin et al. International Journal of Food Microbiology, 90 (2004): 83–91

[9] Ogier et al. Applied and Environmental Microbiology, 70 (2004): 5628–5643