Export agroalimentare: si potrebbe far meglio

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Secondo dati Nomisma, prosegue la crescita dell’export agroalimentare italiano che nel 2017 ha messo a segno un ulteriore +7% rispetto al 2016 grazie soprattutto alle ottime performance di alcuni dei prodotti rappresentativi del “made in Italy”: formaggi (+11%), vino (+6%), cioccolata (+20%), prodotti da forno (+12%). L’Italia fa meglio degli altri “big exporter” come Stati Uniti (-0,2%), Cina (+2,1%), Germania (+3,3%) o Canada (+3,4%) ma la distanza in valore assoluto resta ancora alta anche prendendo in considerazione la sola UE: il nostro Paese risulta essere quinto alle spalle di Olanda, Germania, Francia e Spagna a dimostrazione che la brand reputation da sola non basta. Secondo Nomisma, “conoscenza, competenza e organizzazione, elementi indispensabili in questo processo di internazionalizzazione, sono spesso appannaggio delle imprese più strutturate. Basti pensare che in Italia solamente l’1,7% delle imprese alimentari ha più di 50 addetti – contro il 10,5% della Germania o il 4,1% della Spagna – ed è in grado di esportare circa il 30% della propria produzione”. Inoltre, “i due terzi dell’export agroalimentare italiano sono destinati a mercati “di prossimità”, cioè Paesi dell’UE, mentre la restante quota si distribuisce tra America (13,5%), Asia (9%), altri Paesi europei (7,6%), Africa (2,4%)”.

“In definitiva, le imprese alimentari italiane si trovano oggi ad affrontare una duplice sfida: sul mercato domestico, dove, in un contesto di graduale ripresa dei consumi, il consumatore modifica continuamente il suo approccio alla spesa e pone sempre più attenzione nei confronti di valori come la salute, la sostenibilità ambientale e la semplicità con conseguenti effetti sulla composizione del paniere di spesa. E sul mercato internazionale, dove si configurano grandi opportunità di crescita ma, allo stesso tempo, le imprese si devono confrontare con una concorrenza agguerrita e organizzata e con mercati che richiedono competenze e conoscenze specializzate soprattutto alla luce dei repentini mutamenti nello scenario economico e geopolitico globale, in primis la Brexit e la politica protezionistica di Trump”.