I fattori che incidono sul fosforo nel latte

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Bovine Frisona e Modenese (Foto di F. Petrera)

Alimentazione della bovina

Grande interesse sta suscitando nell’ultimo decennio la “nutrizione minerale” dei bovini da latte, in particolare i livelli di azoto e P della dieta, per l’impatto che essi hanno sull’ambiente, sul benessere degli animali e sul bilancio economico delle aziende. Sulla base dei risultati di numerose ricerche e prove sperimentali (nuo- Bovine della razza Modenese (Foto di F. Petrera) vi metodi per la stima dei fabbisogni di mantenimento e dei coefficienti di assorbimento del P alimentare), al fine di un utilizzo più razionale ed ecosostenibile del P, il National Research Council (NRC, 2001) ha rivisto i fabbisogni raccomandati per le bovine da latte, spiegando che la somministrazione di livelli inferiori non interferisce con le performance produttive o riproduttive né con lo stato di salute degli animali.

I fabbisogni sono suddivisi sulla base del ciclo produttivo e prevedono la somma dei fabbisogni per mantenimento, crescita, gravidanza e lattazione, corretti per i coefficienti di assorbimento degli alimenti. È assodato come livelli insufficienti di P nell’alimentazione bovina siano causa di situazioni patologiche, in particolare riproduttive, e di serie perdite economiche; ma il problema è che il P è generalmente apportato nella dieta per le bovine da latte senza badare ad eventuali problemi di eccesso. Numerose ricerche hanno dimostrato che livelli di Ca e P nella dieta superiori ai livelli raccomandati non hanno effetti significativi su: ingestione di alimento, produzione di latte o sua composizione, o sulle performance riproduttive (Wu et al., 2000) ma anzi ne peggiorano l’efficienza di utilizzazione.

Inoltre, è stato ampiamente dimostrato come apporti eccessivi di P sia in lattazione sia in fase di asciutta (Wu et al., 2000; Dal Prà et al, 2013), si traducano soprattutto in un aumento proporzionale dell’escrezione fecale di P, oltre a pesare sul bilancio economico dell’azienda. Le modificazioni dei livelli sierici o plasmatici di questo elemento non sono specifiche di eccesso alimentare, in quanto mantenuti costanti grazie ai meccanismi di omeostasi e influenzate dal metabolismo osseo e dall’escrezione urinaria e fecale. Occorre tuttavia precisare che anche un mancato rispetto dei rapporti tra i minerali nella dieta e degli apporti di vitamina D possono essere causa di squilibri a livello fisiologico, che possono sfociare in vere e proprie patologie, soprattutto in momenti delicati per la bovina, come il periparto.

L’efficienza alimentare

Klop et al. (2013) hanno recentemente evidenziato come il livello di utilizzo del P alimentare sia calcolabile mediante l’impiego di una formula previsionale che lega il livello di P nell’alimento ingerito all’efficienza alimentare, intesa come produzione di latte (corretta per grasso e proteina) per l’unità di alimento ingerito. In altre parole, alla luce di quanto sta emergendo in altri aspetti della zootecnia moderna, il tema di una valutazione dell’efficienza dei sistemi di produzione (come di ogni loro singola componente) è centrale per ottimizzare i costi, migliorare la qualità dei prodotti e contenere l’impatto ambientale dell’attività agricola.

Genetica della bovina

Il latte delle diverse razze bovine differisce tra le stesse in misura importante anche nei riguardi dei principali sali minerali. I risultati di un’indagine condotta da Cerbulis e Farrell (1976) sulla concentrazione dei principali minerali nel latte di 151 vacche a metà lattazione appartenenti a 6 comuni razze allevate in Pennsylvania, misero in evidenza per il P, così come per Ca e Mg, differenze signifi cative tra le razze e un ampio intervallo di variabilità entro ciascuna di esse (tabella 1), con il valore più alto trovato nella Jersey e il più basso nella Holstein. Anche il rapporto Ca:P variava in base alla razza, con il valore più basso (1,01) nella Brown Swiss, mentre il più alto (1,20) nella Holstein, e valori intermedi nelle altre razze (1,04; 1,10; 1,13; e 1,10 nella Shorthorn, Jersey, Guernsey, e Ayrshire, rispettivamente).

Da studi italiani che hanno messo a confronto il contenuto in P nel latte di alcune razze bovine (Frisona, Bruna, Reggiana e Modenese) sia considerando campioni di latte individuale che di massa (tabella 2), è emerso che il latte della Modenese presenta i valori di P più elevati (Mariani et al., 2002). In particolare, la maggiore concentrazione di P totale e della sua forma colloidale nella razza Modenese rispetto alla Frisona Italiana (allevate nella stessa stalla e con la stessa alimentazione) è stata recentemente confermata da un’indagine condotta dal nostro gruppo (Abeni et al., 2013), nell’ambito del Progetto CRA GENZOOT “Valorizzazione del patrimonio zootecnico italiano attraverso strumenti avanzati di genomica, transcrittomica e proteomica applicati alla selezione per la qualità dei prodotti e il benessere animale” finanziato dal ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, MiPAAF.

Per quello che riguarda invece il contenuto in P colloidale inorganico (Mariani et al., 2002, riportato in tabella 2), la razza Bruna ha mostrato i valori più alti rispetto alle altre 3 razze, mentre la Frisona Italiana ha evidenziato quelli più bassi.

Conclusioni

Tali osservazioni rivestono grande importanza per l’influenza sulle caratteristiche reologiche del latte. Le regole che la Commissione europea nel 2006 (European Commission, 2006) ha deciso di fissare sui claims nutrizionali e salutistici, suggeriscono l’opportunità di approfondire le indagini su questi aspetti qualitativi, scarsamente considerati in passato, in funzione anche di un eventuale impiego di latte alimentare derivato da razze che dovessero mostrarsi significativamente più dotate di un profilo minerale con effetti fisiologici o nutrizionali benefici per un consumatore attento.

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