La normativa “in-polverata”

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2223Più di anno fa, nell’editoriale “La normativa in-cagliata” avevo espresso la necessità di un adeguamento del quadro normativo di riferimento per il settore dei formaggi generici. Un quadro obsoleto rispetto ad altre legislazioni europee e, soprattutto, limitato fondamentalmente al Regio Decreto Legge n. 2033 del 1925 e alla legge n. 138 del 1974. Come noto, il primo prevede che il formaggio sia ricavato solo dal latte o dalla crema. La seconda vieta l’utilizzo di latte in polvere per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare. La diffida che la Commissione europea ha recentemente inviato all’Italia sulla fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere solleva un tema (e un problema) che in Italia non si è mai voluto affrontare. E, come sempre accade quando sono gli altri (e i tempi) a chiedercelo, il tutto viene vissuto in modo parossistico.

Quindi… dagli all’untore “latte in polvere” che mette a repentaglio la reputazione casearia italiana, magari quella DOP. Associare i formaggi DOP e l’Italian sounding al latte in polvere ha un miglior effetto mediatico, soprattutto nel confondere le idee. Perché non dire che anche in Italia lo yogurt viene a volte preparato con l’aggiunta di derivati essiccati del latte, peraltro con significativi miglioramenti di alcuni aspetti qualitativi ricercati dal consumatore, leggi la cremosità? O, infine, chi ancora crede che nel settore dei formaggi generici non vengono già utilizzate anche (tecnologie e) materie prime in qualche modo non conformi al Regio Decreto Legge 2033 e alla Legge 138? E poi, quale è il senso di affermare, come alcuni fanno, che la diffida comporterà l’importazione di latte in polvere “a costi bassissimi”? Il latte in polvere è oggi una commodity il cui prezzo è fissato dal mercato mondiale e per questo volatile. I tempi del latte in polvere d’intervento UE sono finiti, ma alcuni ancora non lo sanno!

Ma allora di che cosa dovremmo parlare? Di produzioni lattiero-casearie generiche caratterizzate da una continua evoluzione di prodotto e processo. Di prodotti per i quali si agita però solo lo spettro dell’utilizzo di derivati lattieri esteri limitando la discussione alla sola, seppur importante, etichettatura d’origine. Senza sapere che per alcuni di questi derivati non esistono nemmeno (o sono scarsamente efficaci) dati per quantificarne i livelli di importazione o, peggio, strumenti analitici per rilevare il loro utilizzo nei prodotti finiti.

Dal 1925, l’innovazione tecnologica ha reso disponibili derivati del latte dalle molteplici potenzialità applicative, anche in ambito caseario. La discussione dovrebbe, almeno una volta, partire dagli aspetti tecnici connessi all’utilizzo di prodotti diversi dal latte o dalla crema, soprattutto in relazione al loro reale impatto sulla qualità dei prodotti e sulla competitività delle aziende del settore lattiero-caseario. Discussione che, in altri Paesi UE, ha da tempo indirizzato la legislazione nazionale di settore.

Da qui bisognerebbe partire per un dibattito più sereno, anche sulle conseguenze economiche e politiche dell’utilizzo di latte in polvere. La dogmatica difesa del Regio Decreto Legge 2033 e della Legge 138 non crea i migliori presupposti per farlo. Se un anno fa la normativa era in-cagliata, oggi purtroppo è anche in-polverata.