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Più sostenibile, non eccessivo

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Progettare, produrre, distribuire e utilizzare imballaggi più sostenibili nella filiera lattiero-casearia oggi è possibile. Occorre però effettuare sistematici studi sul ciclo di vita dei prodotti, che tengano conto di diversi fattori, tra cui l’eccesso di volumi, peso e costi.

risvolti sociali del packaging cosiddetto “sostenibile” – cioè coerente con l’esigenza di ridurre l’impatto che i processi produttivi, i materiali e i consumi energetici hanno sull’ambiente – sono stati analizzati da molti esperti del settore, negli ultimi anni. Nonostante il successo dello sviluppo di imballaggi sostenibili oggi sia spinto dalle innovazioni tecnologiche e dalle considerazioni di carattere sociale, queste ultime sono spesso trascurate. Infatti, anche se molte aziende hanno concretizzato sforzi e iniziative per elevare la sostenibilità da obiettivo teorico a priorità immediata, molto  poco si sa ancora su come effettivamente i consumatori percepiscano la sostenibilità di un imballaggio. In uno studio pubblicato su Packaging Technology and Science [1], Norbisimi Nordin e Susan Selke rilevano che il 53% dei consumatori intervistati sull’argomento non ha familiarità con l’espressione “imballaggio sostenibile”, il 36% ne ha sentito parlare ma non sa bene cosa significhi e solo l’11% sa esattamente di che si tratti. Per prodotti a così larga diffusione commerciale come il latte e i suoi derivati, tutte le considerazioni sopra esposte rivestono un’importanza notevole.

Valutazione del ciclo di vita

Quando per il packaging sostenibile l’attenzione è puntata sui concetti di rinnovabile e riciclato, e sugli aspetti riguardanti l’energia e i materiali, diventa fondamentale il metodo di analisi del Life Cycle Assessment (LCA, valutazione del ciclo di vita), secondo la ISO 14040. A volte la valutazione è ridotta alla stima dell’impronta di carbonio (carbon footprint) come indicatore del danno ambientale: è la misura del volume di gas serra, espresso in unità equivalenti di CO2, risultato di una determinata attività o in relazione a un prodotto. «La misura dell’impronta di carbonio è un approccio giudicato eccessivamente orientato alla dimensione “ambientale” della sostenibilità e secondo il quale, comunque, il food packaging risulta sempre molto “sostenibile”», spiega Sara Limbo, ricercatrice del DeFens, Dipartimento di alimentazione, ambiente e scienza della nutrizione dell’Università degli Studi di Milano. Negli studi di LCA per la filiera lattiero-casearia, le fasi chiave da analizzare sono, dal punto di vista sia dell’azienda alimentare sia dei materiali di imballaggio: produzione (latte, formaggio, yogurt, crema, burro, latte in polvere), distribuzione, gestione sul punto vendita, utilizzo da parte del consumatore, smaltimento a fine vita. Il grafico di figura 1 [2] illustra il contributo percentuale di ogni fase LCA sul cambiamento climatico e sulle risorse energetiche per 1 kg di latte e 1 kg di formaggio. «I dati evidenziano un contributo significativo, superiore al 20%, del packaging sulle risorse energetiche nel caso del latte, molto più che per il formaggio» puntualizza Limbo. «Invece, sul cambiamento climatico – aggiunge – il contributo percentuale della fase imballaggio è inferiore al 5% per il latte, assente per il formaggio. Pertanto, ciò dimostra quanto sia riduttivo valutare un LCA solo dal punto di vista dell’impronta di carbonio, cioè della misura del volume di gas serra responsabile dei cambiamenti climatici». In figura 2 [3] è riportato, in base a uno studio di LCA, quanto impattano su diversi fattori ambientali ed energetici i cartoni di latte fresco, confrontati con le bottiglie da riutilizzare. Dal punto di vista dell’abbandono di rifiuti nel suolo, del consumo di acqua e del consumo totale di energia, le prestazioni dei cartoni sono nettamente inferiori a quelle delle bottiglie che si possono riutilizzare. Ma queste ultime perdono la sfida soprattutto per quanto riguarda il consumo di risorse minerarie, l’eutrofizzazione di laghi e fiumi, la produzione di rifiuti speciali.

Figura 1 – Contributo percentuale di ogni fase LCA sul cambiamento climatico e sulle risorse energetiche per 1 kg di latte e 1 kg di formaggio [2]
Strategie per la sostenibilità

Per sviluppare imballaggi più sostenibili, occorre pensare a delle strategie che supportino la produzione (nuovi materiali anche a base biologica, nuove barriere, riduzione, alleggerimento), l’uso e il riuso (introduzione di barriere funzionali per prevenire migrazioni indesiderate), il riciclo (filiere dedicate al riciclo efficiente). «L’uso di plastiche riciclate a diretto contatto con gli alimenti è stato vietato per molto tempo, per il rischio di contaminazione chimica, possibile nelle fasi di  post-consumo» afferma Sara Limbo.«Ma poiché il recupero delle materie plastiche è un aspetto fondamentale nel quadro della sostenibilità – aggiunge –, la ricerca scientifica può garantire come farlo in sicurezza. Per esempio, si può introdurre una barriera funzionale (regolamento CE n. 10/2011, PIM), costituita da uno strato all’interno dei materiali o degli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, che impedisca la migrazione di sostanze al di sotto di una soglia di sicurezza. Dietro alla barriera funzionale – continua Limbo –, possono essere impiegate sostanze non autorizzate, purché rispondenti a determinati parametri e a condizione che la migrazione resti al di sotto di un determinato limite di rilevabilità: massimo 0,01 mg/kg». Oggi le materie plastiche riciclate sono ammesse al contatto alimentare purché conformi al regolamento (CE) n. 282/2008 della Commissione, che modifica il regolamento (CE) n. 2023/2006.

Figura 2 – Da un studio di LCA: impatto su diversi fattori ambientali ed energetici dei cartoni di latte fresco e delle bottiglie da riutilizzare [3]