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Più sostenibile, non eccessivo

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Il packaging sovrastimato

Un aspetto da non trascurare quando si progetta un imballaggio all’insegna della sostenibilità è quello che gli addetti ai lavori chiamano “overpackaging”: fenomeno per cui l’imballaggio risulta eccessivo in massa, volume e costo. L’Agenzia ambientale europea segnala che per ogni cittadino dell’Unione, i rifiuti di packaging ammontano a 175 chilogrammi all’anno, pari al 17% in peso e al 20-30% in volume. Sembra pertanto necessario spostare il baricentro dell’attenzione dalla riduzione del packaging alla sua ottimizzazione. Uguali e/o migliori prestazioni possono essere ottenute con riduzioni di massa e di volume. Sottolinea la dr.ssa Limbo: «La combinazione di materiali sintetici con sostanze naturali può essere una strada per introdurre nuove, specifiche e utili funzionalità, riducendo l’impatto ambientale e il consumo di risorse non rinnovabili. È il caso, per esempio, di uno strato lipo-proteico deposto su film convenzionali (LDPE, PP, PET). Oppure si possono ridurre i diametri e i pesi delle imboccature delle bottiglie, o le grammature di preforme in PET». In tabella 1, sono riportati i valori di peso del collo, peso della chiusura e della loro somma in bottiglie di PET per il latte, nei casi in cui il diametro dell’imboccatura sia di 38 mm o di 33 mm. Il risparmio totale di resina è del 39% se si sceglie di ridurre le dimensioni dell’imboccatura da 38 a 33 mm. Nelle preforme in PET, il passaggio dal peso di 25 g a 23,5 g permette di risparmiare il 6% di resina polimerica e di ridurre di 170 tonnellate l’impronta di carbonio.

Le perdite di cibo

Esiste un problema di perdite di alimenti, e quindi di spreco, nel quale può avere un ruolo importante il packaging? «La stima delle perdite alimentari è quasi sempre condotta sulla base della massa persa – commenta Sara Limbo –, più raramente si tiene conto dell’energia consumata e dell’impatto provocato sull’ambiente. Un alimento perduto a livello domestico o della ristorazione, confezionato, trasportato e stoccato, fa perdere una quantità di energia supplementare. Tenere conto di questi dati nell’analisi del ciclo di vita è ancora molto difficile e implica grandi incertezze». Una possibile strada per limitare le perdite alimentari è migliorare la vita commerciale dei prodotti (shelf life extension, SLE). L’allungamento della shelf life può essere definito come l’insieme delle operazioni volte a fermare o a ridurre significativamente la perdita di qualità nutrizionale, igienica o sensoriale dell’alimento. «A oggi – sottolinea Sara Limbo –, poca o nulla attenzione è stata posta al contributo positivo, derivante dal prolungamento della vita commerciale, alla più generale sostenibilità di un prodotto alimentare lungo tutta la filiera». Il prolungamento della shelf life può contrastare gli scarti alimentari e l’impatto della logistica distributiva. Molti studi hanno sottolineato l’importanza di un approfondimento delle conoscenze su questi problemi. «Nel settore del packaging – conclude Limbo –, le innovazioni che puntano alla limitazione delle perdite alimentari prevedono interventi sui processi, sulle tecnologie e sui materiali. Ma occorrono anche nuovi approcci metodologici per stimare quanto l’estensione della vita commerciale di un prodotto confezionato possa contribuire alla riduzione delle perdite di cibo e, più in generale, alla sostenibilità».

 

Bibliografia

[1] N. Nordin, S. Selke, Packaging Technology
and Science, vol. 23, 6, 317-326, October 2010.
[2] Bollettino della International Dairy
Federation.
[3] Fraunhofer IVV, 1999.

 

Barbara Merlo