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Prebiotici: proprietà e utilizzi

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La modificazione del microbiota intestinale mediante l’uso di prebiotici rappresenta la motivazione strategica per il loro utilizzo in formulazioni alimentari potenzialmente utili per migliorare la salute umana ma la ricerca scientifica deve ancora risolvere diversi quesiti

DMK Deutsches Milchkon tor GmbH

Il termine “prebiotico” fu coniato negli anni ‘90 in riferimento a composti non digeribili in grado di promuovere la crescita di specifi ci gruppi microbici della fl ora intestinale umana (Bifi dobacterium, ad esempio). Più recentemente, l’ultima revisione delle “Linee guida su probiotici e prebiotici” del ministero della Salute, defi nisce i prebiotici come “un costituente degli alimenti non vitale che conferisce un beneficio alla salute mediante una modulazione del microbiota”.

I prebiotici sono quindi composti caratterizzati da:

  • indigeribilità nel tratto gastrointestinale e resistenza alle condizioni chimiche e fisiche dello stesso;
  • non assorbibilità nell’intestino tenue;
  • fermentescibilità da parte del microbiota intestinale;
  • capacità di stimolazione della proliferazione di specifici microrganismi intestinali la cui attività è associabile a effetti positivi per la salute umana.

È quest’ultima caratteristica l’effetto precipuo dei prebiotici che ha dato particolare impulso agli studi su questi composti, la cui vicenda storica e scientifi ca è intimamente legata allo studio del microbiota intestinale umano. Già nel 1888 Eschbach identifi cava nel latte umano e nel latte vaccino una frazione glucidica più complessa del solo lattosio, una frazione comunque diversa tra i due latti. Solo 40 anni dopo, questa frazione fu in parte caratterizzata chimicamente e denominata “gynolactose” dai suoi scopritori Polonowski e Lespagnol che, per la prima volta, postularono la presenza di acido N-acetilneuraminico. Parallelamente, agli inizi del secolo scorso le ricerche di Tissier sul microbiota fecale di bambini allattati al seno o meno posero le basi per lo studio del ruolo di questa frazione sullo sviluppo della microfl ora intestinale del lattante. Microfl ora che negli stessi anni era stata caratterizzata nelle feci dei bambini allattati al seno come appartenente prevalentemente ai bifi dobatteri.

Figura 1. Potenziali effetti esercitati dai prebiotici a livello intestinale

Già attorno al 1900, questa evidenza era stata associata all’esistenza del cosiddetto “fattore bifido” nel latte umano, ossia alla presenza di un componente termoresistente e non appartenete alla frazione proteica del latte in grado di stimolare la crescita dei bifi dobatteri nell’intestino del lattante. Questo fattore fu inizialmente identifi cato come una vitamina; è degli anni ’30 la scoperta delle vitamine B da parte di György. Circa 20 anni dopo, proprio György (insieme a Kuhn) dimostrò invece che i fattori di crescita per la microfl ora bifi da presenti nel latte umano erano ascrivibili a una frazione oligosaccaridica contenente anche N-acetilglucosammina (GlcNAc). Negli anni ’70 e ‘80, ulteriori evidenze scientifi che hanno evidenziato il ruolo della frazione oligosaccaridica nel modifi care il microbiota intestinale e quindi l’interazione dello stesso con il tessuto linfoide intestinale che, come noto, comprende buona parte delle cellule immunocompetenti dell’organismo umano.

Inoltre, la fermentazione a opera del microbiota utile degli oligosaccaridi introdotti con l’alimentazione porta alla formazione di acidi grassi a corta catena (SCFA) come butirrato, acetato e propionato, composti fondamentali per la microecologia e la fisiologia del grosso intestino. Infatti, gli SCFA intervengono nel metabolismo energetico di colonociti ed enterociti con effetto trofico positivo sull’epitelio intestinale. Le potenziali attività dei prebiotici a livello intestinale sono quindi diverse e tutte ugualmente interessanti ai fini di un loro utilizzo in ambito alimentare e salutistico (figura 1). Se si considerano gli importanti effetti esercitati dagli oligosaccaridi naturalmente presenti nel latte umano, non stupisce che le ricerche per individuare i potenziali composti prebiotici siano partite dallo studio delle caratteristiche chimiche e strutturali degli oligosaccaridi del latte umano.

Figura 2. Principali metodologie di preparazione dei prebiotici

Questi oligosaccaridi devono essere infatti considerati come il modello di prebiotico, almeno per il loro effetto stimolante la crescita di bifidobatteri nel colon dei bambini allattati al seno. In particolare, nel latte materno sono stati individuati numerosi oligosaccaridi che si differenziano per grado di polimerizzazione, contenuto glucidico, tipo di legami glicosidici e ramificazioni presenti. Gli stessi oligosaccaridi sono invece accomunati dalla presenza di lattosio, galattosio, fucosio, GlcNAc, N-acetilgalattosammina (GalNAc) e dell’acido sialico N-acetilneuramminico (NeuAc). Sebbene la complessità di questi oligosaccaridi non permette la loro esatta quantificazione, è comunque possibile affermare che il latte materno maturo contiene 5-13 g/L di oligosaccaridi liberi ossia un livello nettamente superiore a quello (0,03-0,07 g/L) del latte vaccino.

Nel latte di capra e pecora il contenuto risulta mediamente pari a 0,25-0,39 g/L e 0,02-0,04 g/L. Contenuti superiori (20-25 g/L) caratterizzano invece il colostro umano contro valori di circa 1 g/L in quello bovino. Nonostante esistano anche differenze riguardanti la struttura chimica e la composizione degli oligosaccaridi presenti nei due tipi di latte, le strategie per aumentare il contenuto di tali composti nel latte e colostro vaccini ovvero lo sviluppo di tecniche economicamente sostenibili per la loro separazione e purificazione si presentano ricche di prospettive soprattutto nel settore degli alimenti per la prima infanzia.

Attualmente, i prebiotici utilizzati nella preparazione di questi e altri alimenti sono prodotti costituiti da oligosaccaridi preparati per:

  • estrazione diretta da materie prime vegetali;
  • idrolisi controllata di polisaccaridi naturali;
  • azione di enzimi di origine vegetale o microbica che catalizzano l’unione o il trasferimento di unità glicosidiche.

Oligosaccaridi prodotti per via enzimatica sono, ad esempio, gli xilo-oligosaccaridi (XOS) e gli isomalto-oligosaccaridi (IMO); ugualmente, il lattosaccarosio, i galatto-oligosaccaridi (GOS) e alcuni frutto- oligosaccaridi (FOS) sono prodotti per transglicosilazione. Altri FOS (inulina) e gli oligosaccaridi di soia sono estratti direttamente da vegetali. Il lattulosio, infi ne, viene preparato per isomerizzazione chimica del lattosio (fi gura 2). Analizziamo più in dettaglio alcune delle caratteristiche dei principali (potenziali) prebiotici.