Un approccio analitico multiparametro per la tutela della tipicità dei formaggi

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Formaggi

 

L’utilizzo di latte crudo in caseificazione è uno dei principali fattori tecnologici che garantiscono il legame tra zona di produzione e formaggio. Infatti, se da un lato il processo di risanamento termico del latte, termizzazione o pastorizzazione, consente il contenimento dei difetti del formaggio determinati da fermentazioni microbiche anticasearie, dall’altro riduce e modifica la popolazione batterica tipica del latte crudo e determina l’inattivazione di alcuni enzimi coinvolti nel processo di maturazione. Di conseguenza, l’utilizzo in caseificazione di latte sottoposto a trattamento termico porta ad un formaggio con caratteristiche chimiche e sensoriali differenti da quelle del formaggio da latte crudo. L’impiego in caseificazione di latte trattato termicamente può essere verificato determinando nel formaggio l’attività residua della fosfatasi alcalina, enzima endogeno del latte che viene totalmente inattivato dal trattamento di pastorizzazione, mentre la termizzazione ne determina una parziale inattivazione. Nei formaggi di elevate dimensioni, come il GP e il PR, il test della fosfatasi deve essere effettuato sulla parte più periferica della forma. Tale enzima si mantiene attivo solo in questa zona della forma, soggetta a un rapido raffreddamento dopo l’estrazione dalla caldaia, durante la stasi in fascera.

Al contrario, nel cuore della forma l’elevata temperatura (oltre 53 °C) dovuta alla lenta dissipazione del calore e valori di pH prossimi a 5 determinano una completa inattivazione dell’enzima. La soglia minima di attività fosfatasica che caratterizza il GP, misurata nel 1° cm sottoscalzo, è di 300 mU/g di formaggio, come riportato nel relativo disciplinare di produzione. Sovente, i formaggi di imitazione del GP e del PR prodotti all’estero vengono ottenuti caseificando latte pastorizzato e presentano, di conseguenza, un’attività fosfatasica inferiore alla suddetta soglia. Nel caso dei formaggi DOP, il cui disciplinare di produzione preveda l’utilizzo di latte pastorizzato, il controllo dell’intensità del trattamento termico applicato al latte può essere effettuato mediante la determinazione nel formaggio della furosina, indice derivante dalla reazione di Maillard. I disciplinari di produzione del Taleggio, del Quartirolo e del Salva Cremasco prevedono un contenuto massimo di furosina nel formaggio di 14 mg/100 g di proteine. Un trattamento termico del latte più drastico della pastorizzazione, applicato in genere per ottenere un incremento di resa casearia, può essere evidenziato da un contenuto di furosina superiore al limite stabilito per questi formaggi.

Valori elevati di tale marker di trattamento termico, limitatamente ai formaggi a pasta cruda, possono inoltre essere indice di utilizzo in caseificazione di derivati del latte essiccati quali latte in polvere o proteine del latte concentrate, prodotti ottenuti applicando drastici trattamenti termici e quindi caratterizzati da elevati livelli di furosina. La liceità dell’utilizzo di questi derivati lattieri nella produzione dei formaggi generici costituisce un annoso argomento di discussione tra i diversi operatori del settore caseario italiano, senza per altro che si sia giunti ad un chiara conclusione al riguardo. Appare comunque evidente che per la produzione di formaggi DOP, l’impiego di questi ingredienti, generalmente prodotti all’estero, e comunque utilizzando condizioni tecnologiche tali da provocare profonde modifiche microbiologiche e biochimiche del latte, contrasti con la definizione di tipicità riportata nel regolamento CE 1151/12.

È evidente che nessun disciplinare di produzione dei formaggi DOP preveda l’utilizzo di derivati del latte essiccati, ma, ad eccezione dei casi sopra menzionati, non viene prevista la possibilità di utilizzare strumenti analitici idonei a tracciare l’utilizzo di questi ingredienti in caseificazione. A questo proposito va considerato che, se l’eventuale utilizzo di latte in polvere, caseine, caseinati e proteine del latte concentrate è evidenziabile attraverso la determinazione nel formaggio di alcuni specifici marker (furosina e lisinoalanina), non si hanno ancora a disposizione metodiche analitiche affidabili che permettano di riconoscere nel formaggio la presenza di sieroproteine denaturate derivanti dall’utilizzo di proteine del siero concentrate o di microparticolati sieroproteici.

Parmigiano Reggiano

 

Le problematiche dei grattugiati

Alcuni formaggi DOP duri e a lunga stagionatura vengono commercializzati come formaggi grattugiati, forma questa che rende il formaggio DOP particolarmente esposto a contraffazioni e a sofisticazioni. Alcuni degli approcci analitici sopra riportati consentono una valutazione della tipicità anche di questa tipologia commerciale, la cui importanza economica è andata sempre più crescendo nel corso degli anni. Come per il formaggio in forma, anche nel caso del GP grattugiato la valutazione del profilo degli amminoacidi liberi consente di verificare che la conformità delle forme grattugiate a quanto previsto dal disciplinare di produzione e in altri termini verificare la presenza, nel prodotto grattugiato, di formaggio che non ha raggiunto la maturazione commerciale o di formaggi similari al GP, ma ottenuti con una diversa tecnologia. Un’opportuna metodica, basata sulle diverse caratteristiche chimiche e fisiche della crosta rispetto alla pasta del formaggio, permette inoltre di isolare dal prodotto grattugiato la parte più periferica della forma grattugiata: è così possibile, mediante la determinazione dell’attività fosfatasica sulla frazione estratta, verificare l’utilizzo di latte crudo in caseificazione.

 

MARCHIATURA

L’aggiunta al formaggio grattugiato di crosta non pertinente, ossia in eccesso rispetto a quella della forma grattugiata, può essere valutata mediante la determinazione di specifici peptidi che si accumulano durante la stagionatura, ma che vengono degradati nella parte più interna formaggio. Nella parte interna della forma, il processo di maturazione del GP determina una rapida degradazione delle frazioni caseiniche e il progressivo accumulo di numerosi peptidi tra cui il peptide as1-CN( f88-199). Al contrario, nella parte più superficiale, caratterizzata da un rallentamento delle attività enzimatiche dovuto al basso valore dell’attività dell’acqua, la frazione as2-CN resta integra e non si assiste all’accumulo del peptide. La valutazione del rapporto tra queste due componenti del formaggio permette di caratterizzare la crosta del GP assume valori caratteristici nel prodotto grattugiato.

Valori anomali di tale rapporto indicano la presenza di crosta non pertinente, ma possono mettere in evidenza anche la presenza di formaggi non stagionati o di formaggi duri generici. In conclusione, è opportuno sottolineare che l’approccio analitico descritto permette di valutare l’impatto di possibili innovazioni della tecnologia di produzione sulla tipicità dei formaggi DOP, ossia di verificare se una modifica del disciplinare di produzione leda il legame tra formaggio e ambiente geografico che è alla base del riconoscimento della DOP. In quest’ottica la possibilità di valutare oggettivamente la tipicità di un formaggio costituisce, non solo uno strumento di controllo e di protezione dei formaggi DOP, ma anche un’opportunità per l’evoluzione tecnologica del loro processo di produzione.