Bioplastiche, un mercato in ascesa

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Figura 3 – Capacità produttiva mondiale per le bioplastiche nel 2017 in base alle diverse tipologie di materiale, secondo i dati dell’Institute for Bioplastics and Biocomposites dell’Università di Hannover
Figura 3 – Capacità produttiva mondiale per le bioplastiche nel 2017 in base alle diverse tipologie di materiale, secondo i dati dell’Institute for Bioplastics and
Biocomposites dell’Università di Hannover

Applicazioni nell’industria lattiero-casearia

Le plastiche convenzionali sono molto usate per l’imballaggio dei prodotti lattiero-caseari, perché capaci di preservarne le caratteristiche chimiche, fisiche e organolettiche. I prodotti lattiero-caseari richiedono: una bassa permeabilità all’ossigeno, per prevenire l’ossidazione dei lipidi e la crescita di microrganismi indesiderati; una protezione dalla luce per impedire l’irrancidimento ossidativo e conseguenti perdite di colore e di nutrienti, oltre che formazione di odori sgradevoli; una bassa permeabilità al vapore acqueo per evitare la perdita di acqua. Ma le prestazioni che oggi possono garantire alcuni biopolimeri per il confezionamento di latte, yogurt e formaggi ne stanno incentivando l’impiego da parte delle aziende.

Il PET o il contenitore in poliaccoppiato per il latte possono essere sostituiti da bottiglie in PLA o PHB, oppure da cartoni rivestiti di film in PLA o PHB e pigmenti (per proteggere dalla luce). L’acido polilattico può risultare anche una valida alternativa ad altri materiali plastici per l’imballaggio dei formaggi industriali – purché per periodi di “vita a scaffale” (shelf-life) non troppo lunghi – o, addirittura, una soluzione migliore del polistirene per il confezionamento dello yogurt in vasetti, come testimoniano alcune applicazioni già diffuse sul mercato da circa tre anni. Inoltre, lo sviluppo recente di PLA resistente al calore lo ha reso un polimero adatto anche ad applicazioni di packaging quali i contenitori per bevande calde.

Bio sostituirà il fossile?

Tecnicamente le bioplastiche potrebbero sostituire, almeno nei Paesi occidentali, circa l’85% dei materiali plastici convenzionali secondo lo studio “Pro Bip” (Product overview and market projection of emerging bio-based plastics) condotto dall’Università di Utrecht. Nel packaging, la maggior parte dei polimeri utilizzati è costituita da poliolefine, seguite dal PET. Il PVC invece domina il mercato dell’edilizia. Insieme, packaging ed edilizia, rappresentano il 64% del consumo totale di plastica (43% per gli imballaggi e 21% per le costruzioni). Soltanto cinque tipi di polimeri (LDPE/LLDPE, HDPE, PP, PVC e PET) coprono circa i due terzi della domanda di materie plastiche nelle diverse applicazioni industriali.

La loro sostituzione con le biopla stiche, secondo i risultati dello studio olandese, sarebbe possibile nell’ordine del 70- 100% se i polimeri di fonte petrolchimica, in particolare PBT, PBS, PET e PE, fossero rimpiazzati da materiali identici ma a base biologica. In tutti gli altri casi le percentuali si abbassano (sino al 20%) perché per alcuni materiali e alcune applicazioni non è possibile una sostituzione dei polimeri convenzionali con quelli rinnovabili.

Capacità potenziale che le bioplastiche hanno di sostituire i polimeri convenzionali nelle diverse applicazioni (escluso le fibre), secondo lo studio “Pro Bip” dell’Università di Utrecht. (1) = Tutti i tipi di PS e EPS; (2) = ABS/SAN, incluso i copolimri stirenici; (3) = Polimero di parziale derivazione biologica
Capacità potenziale che le bioplastiche hanno di sostituire i polimeri convenzionali nelle diverse applicazioni (escluso le fibre), secondo lo studio “Pro Bip” dell’Università di Utrecht. (1) = Tutti i tipi di PS e EPS; (2) = ABS/SAN, incluso i copolimri stirenici; (3) = Polimero di parziale derivazione biologica

Il gradimento dei consumatori

Circa l’80% dei consumatori europei desidera acquistare prodotti che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente: lo dicono i risultati di un’indagine statistica curata nel 2013 dall’osservatorio di Eurobarometro, il servizio della Commissione europea che misura e analizza le tendenze dell’opinione pubblica in tutti gli Stati membri. Inoltre, in accordo con le rilevazioni dell’Agenzia della risorse rinnovabili e del Centro delle scienze di Straubing, in Germania, i consumatori vorrebbero trovare sul mercato più prodotti a base di bioplastiche, anche se di solito non sono bene informati sulle differenze tra le caratteristiche dei diversi materiali, sulla possibilità o meno che essi siano biodegradabili e compostabili (secondo la norma Uni En 13432-2002 sul riciclo organico), o siano polimeri sintetizzati a partire da monomeri rinnovabili ma che non sono biodegradabili.

È in costante aumento anche la domanda di beni a “basse emissioni di carbonio”: uno dei principali vantaggi delle bioplastiche. Il mercato globale dei beni e dei servizi a basso impatto ambientale dal punto di vista delle emissioni di carbonio è stimato nel mondo pari a 4200 miliardi di euro, con una quota di mercato per le imprese dell’Unione europea pari al 21%, secondo dati del Dipartimento britannico per il commercio, le innovazioni e le competenze.

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Recupero e riciclo dei biodegradabili

Conai, il Consorzio nazionale imballaggi, ha messo a punto un progetto di recupero degli imballaggi biodegradabili con il coinvolgimento di alcuni produttori (Basf, NatureWorks e Novamont), utilizzatori (Barilla e Coop), consorzi (Cic e Corepla), associazioni di categoria (Assobioplastiche e Federazione gommaplastica). Gli obiettivi sono stati formulare una definizione di imballaggi biodegradabili, individuarne una corretta e condivisa gestione pre e post consumo (dalla raccolta differenziata al recupero), informare i cittadini. Sono stati condotti studi sul ciclo di vita, prove di laboratorio e industriali per verificare la biodegradabilità e la riciclabilità degli imballaggi immessi sul mercato.

Dai lavori è emerso che, per una corretta gestione e raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggi, sono considerati imballaggi biodegradabili solo quelli compostabili e conformi alla norma Uni En 13432 – 2002; gli imballaggi biodegradabili non vanno dispersi nell’ambiente perché il loro tempo di biodegradazione potrebbe durare anni; per la raccolta dell’umido devono essere usati solo i sacchetti biodegradabili; gli imballaggi, i bicchieri e le stoviglie biodegradabili usati possono essere raccolti con l’umido per essere inviati a riciclo organico. Se non contaminati da rifiuti organici alimentari, e su disposizioni degli organi locali competenti, questo genere di rifiuti può anche essere raccolto insieme a quelli realizzati con plastiche tradizionali.
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