“Freen” from

1947

L’offerta di prodotti alimentari è molto condizionata dai cambiamenti, più o meno consapevoli, degli stili di consumo. Per il settore agroalimentare non è tuttavia semplice interpretare tempestivamente e adeguatamente questi cambiamenti. Non ultimi quelli originati da una crescente domanda salutista e ambientalista che pervade l’opinione pubblica e spesso condiziona l’accettabilità del prodotto finale. Nel caso del settore lattiero-caseario, questi cambiamenti rappresentano opportunità o rischi da affrontare a livello sia di innovazione di prodotto che di comunicazione. Per esempio, è un fatto che il salutismo dilagante abbia aperto nuove opportunità di mercato al settore. Il successo commerciale dei prodotti cosiddetti “free from” è lì a dimostrarlo. È anche vero però che in mancanza di una corretta e efficace informazione nutrizionale su latte e derivati, il successo dei prodotti “free from” ha in parte rafforzato la convinzione che quelli non alleggeriti siano poco salutari. L’ostracismo di certa informazione (anche medica) verso la qualità e la quantità del grasso dei prodotti lattiero-caseari è più vivo che mai.

Oggi, all’ondata salutista si è aggiunta la richiesta di sostenibilità della filiera latte, con una particolare attenzione al benessere animale. Tanto che per molti la vacca da latte è assurta a stereotipo dell’animale che soffre, mangia in modo improprio, produce troppo e cattivo latte. La causa? La zootecnia intensiva. Secondo alcuni un problema da risolvere con il ritorno a un modello “green”, con alla base il pascolo. Un modello estensivo che il consumatore ritiene credibile e attuabile. Al consumatore bisognerebbe, invece, comunicare (bene) che la zootecnia intensiva, con i suoi limiti, è la soluzione obbligata per gran parte della filiera latte italiana. Ancora di più bisognerebbe comunicargli le (minime) differenze di qualità compositiva tra il latte “industriale” e quello “green from”. Perché, di fatto, i vantaggi che l’applicazione di un modello “green” apporterebbe al latte sono riferibili alla sua componente lipidica e lipoaffine. Con migliori livelli di acidi grassi polinsaturi e vitamine liposolubili ritrovabili nel latte “green from”.

Ecco quindi che ciò che il consumatore “free from” rifugge, il grasso, rappresenta il valore aggiunto nutrizionale di latte e derivati “green from”. Il grasso, che diventa l’elemento squalificante o qualificante con cui interpretare parte dei nuovi trend di consumo di prodotti “free from” o “green from”. Esigenze che per essere recepite e soddisfatte al meglio necessiterebbero prima di tutto di un consumatore più informato e consapevole. O, cavalcando i cambiamenti e la scarsa informazione, magari con la proposizione di una nuova gamma di prodotti “freen from”.