Con il lago delle Agoraie e una parte di foresta pietrificata, Santo Stefano d’Aveto è uno dei maggiori patrimoni naturali della Liguria dove presso le località di Gavadi, Costapelata, Casoni, Villaneri e Casafredda, è prodotto il Santo Stefano, specialità casearia ottenuta con il latte proveniente da animali di razza Bruna allevati sui verdi pascoli che delimitano l’area di produzione. Ciò conferisce quel sapore di erba fresca e un leggero sentore di selvatico facilmente percepibile nel latte e anche nel formaggio Santo Stefano.
La sua produzione non si svolge presso il “Caseificio Val d’Aveto” fondato a Rezzoaglio nel 1991 che raccoglie oggi il latte di numerose aziende e produce differenti tipologie di formaggio tra cui un formaggio che commercializza con il nome San Sté, ma presso alcune aziende zootecniche che hanno mantenuto la ricetta tipica tramandata sin dalla metà del XVII secolo.
Formaggio di latte vaccino parzialmente scremato, a pasta semicotta, presenta al momento del consumo le seguenti caratteristiche chimico-fisiche-organolettiche:
- forma cilindrica a facce piane con diametro compreso tra 40 e 60 cm, scalzo a bordo convesso di altezza di circa 12 cm e peso tra i 12 e 15kg;
- crosta di circa 2 millimetri, sottile, elastica, liscia di colore che varia dal giallo paglierino intenso a un nocciola tenue, in base al grado di stagionatura;
- pasta di colore avorio nel prodotto giovane che tende a divenire giallo intenso nel prodotto più maturo, si presenta elastica, con occhiature fini, fitte, regolari come dimensioni e distribuzione. La struttura in bocca è umida, quasi fondente, mediamente solubile, grumosa;
- sapore con aroma di latte al minimo di stagionatura, che tende a divenire fragrante e intenso con lieve tendenza amara raggiungendo la maturità. Le sensazioni sono mediamente intense e persistenti con quella tipica vena amarognola che è sinonimo di originalità dei formaggi della zona.
Il Santo Stefano dalla tipologia più giovane è ottimo consumato da solo, particolarmente adatto a chi ama i formaggi giovani e teneri con una spiccata personalità. Interessante riscaldato alla piastra come il Raclette o fuso per condire primi piatti.
[box title=”L’assaggio“]La forma del formaggio assaggiato ha circa due mesi di stagionatura, si presenta cilindrica, pulita e bella da vedere, mostra un colore giallo paglierino intenso. Le superfici sono piane, lo scalzo leggermente convesso, la crosta è edibile.
Al taglio, per niente difficile, la pasta mostra una colorazione giallo paglierina uniforme, con una piccola occhiatura regolarmente distribuita, non si intravede unghia sotto le superfici, né sotto lo scalzo. All’assaggio l’Intensità dell’Odore (3,0) mostra evidenti note di latte, di burro di erba e di fiori, con una nota dell’ambiente dove è stato trasformato: il caseificio.
L’Intensità dell’Aroma (4,0) mostra nuances di latte acido, di burro cotto, di erba fresca di fiori e di frutta fresca (mele, albicocche e agrumi) e vicino alla crosta anche un lieve tostato (nocciole tostate ed arachidi tostate).
Il Sapore Dolce (2,5) è ben percepito, ma viene immediatamente coperto dal Sapore Acido (4,0) che mostra una lunga persistenza per niente sgradevole, che poi diventa la terza e forse la più importante caratteristica di questo formaggio. Il Sapore Salato (2,5) è più percettibile in vicinanza della crosta.
Il Sapore Amaro (0,0) non si sente per niente.
Anche le percezioni trigeminali nel formaggio di Santo Stefano non si sentono, mi riferisco all’Astringente (0,0) e al Piccante (0,0).
Ha una struttura veramente diversa da altri formaggi simili, molto compatto ma anche molto coeso con una certa grumo-granulosità, termine nuovo che mi sono appena inventato, ma mi è stato suggerito dalla struttura di questo formaggio.
Ha una Elasticità (3,0) ben percettibile che si può provare mettendo il pollice sul campione di formaggio premendo e valutandone il tasso di rientro.
È poco Duro (1,5), poco Friabile (1,5) qualche cosa vicino alla crosta, stranamente leggermente Adesivo (2,0) ma poi questa sensazione sparisce perché il grasso del formaggio si scioglie bene in bocca, risultando anche abbastanza Solubile (2,0) e con poca Umidità (1,0) causa dell’eccessiva acidità.
Bruno Morara
[/box]Zona geografica
La zona di provenienza del latte utilizzato per la produzione del Santo Stefano comprende i comuni di Santo Stefano d’Aveto.
Per la lavorazione del Santo Stefano si utilizza latte parzialmente scremato di quattro mungiture proveniente da animali generalmente di razza Bruna alimentati in prevalenza al pascolo o con foraggi affienati dei prati dell’area di produzione nei mesi più freddi.
Il latte della mungitura serale è posto in vasche di affioramento e lasciato riposare fino al mattino successivo. È quindi separato dalla materia grassa, posto in tradizionali contenitori in rame detti parèu, ramà e mescolato al latte della mungitura del mattino, per essere riscaldato a una temperatura compresa tra i 32 e i 35 °C. Raggiunta la temperatura desiderata si procede all’aggiunta di caglio liquido di vitello e si attende la cagliatura tenendo sempre la massa in lento movimento. Nella procedura di lavorazione del formaggio Santo Stefano la cagliata è rotta finemente con un bastone di legno (canelu) sino a raggiungere le dimensioni di un chicco di mais. Terminata la fase di rottura, la massa è raccolta con la schiumarola (cassa sbùsa) e posta in fuscelle (friscèla) che conferiscono la tipica scolpitura superficiale. Poi è lavorata manualmente, frantumata, schiacciata e pressata in modo da far fuoriuscire tutto il siero residuo. Dopo la salatura a secco il formaggio è pronto per la fase di stagionatura che avviene all’interno di locali con umidità non inferiore al 60% e una temperatura di circa 15 °C per un minimo di due mesi.
Con il siero residuo della lavorazione del formaggio si ottiene un sottoprodotto tipico, il sarazzu (sarasso). È una ricotta salata e stagionata di forma cilindrica, con un’altezza di 15-20 cm e diametro di 10-15 cm, dal colore bianco giallognolo e sapore intenso. La ricotta è prodotta per affioramento previa cottura del siero residuo in tradizionali paioli in rame, posti su caldaie. La massa caseosa così ottenuta dopo essere estratta e posta in fuscelle o in teli per far fuoriuscire il siero è salata e fatta stagionare.
In cucina è utilizzata come veloce condimento di una pasta in bianco o nella preparazione di un altro prodotto tipico, il pesto.
Vincoli con l’ambiente
Storico
Per secoli la denominazione attribuita a questo caratteristico prodotto era Formaggio di Santo Stefano, anche se sulle tavole dei genovesi veniva chiamato Formaggio di Chiavari.
Probabilmente fino alla metà del XVII secolo il formaggio prodotto in Val d’Aveto era sostanzialmente ottenuto da latte di pecora. La successiva diffusione dell’allevamento di bovini in valle ha determinato l’inizio della produzione di formaggio vaccino.
La ricchezza dei pascoli della Val d’Aveto ha da sempre conferito al latte un’ottima qualità e un aroma unico riscontrabile anche nei prodotti da esso derivati. Alla produzione di formaggio le famiglie avetane non hanno mai voluto rinunciare anche quando la quantità di latte giornaliera era così ridotta da indurle a cedere a turno il latte di una frazione a una sola famiglia la quale a sua volta restituiva il proprio alle varie famiglie creditrici nel giorno in cui cadeva il loro turno di lavorazione.
La Val d’Aveto si trova tra le province di Genova, Parma e Piacenza ed è attraversata dal torrente Aveto che nasce dal monte Caucaso (1245 m) e scorre per circa 45 km prima di unirsi al fiume Trebbia del quale è il principale affluente. La valle suddivisa in “alta” e “bassa” è circondata da alcune delle montagne più alte dell’Appennino Ligure, tra cui i monti Maggiorasca, Penna, Groppo Rosso e Aiona.
Suolo
L’area di produzione del Santo Stefano d’Aveto è il frutto di grandi movimenti tettonici e di eventi legati alle glaciazioni. Le rocce delle vette che circondano la valle quali l’Aiona e il Penna appartengono al gruppo delle ofioliti (le “rocce verdi”), un insieme di rocce di varia natura e genesi – peridotiti, serpentiniti, gabbri, basalti – originatesi sul fondo di un antico bacino oceanico.
Idrografia
La Val d’Aveto è situata nelle province di Genova e Piacenza e attraversata dal torrente omonimo, tributario del Trebbia. Lungo 57 km nasce in Liguria dal Monte Caucaso dove in prossimità della piana di Cabanne riceve le acque dell’affluente Ventarola raggiungendo la zona compresa tra Brignole, Rezzoaglio e il ponte di Alpepiana. Qui si arricchisce di altri affluenti tra cui il Gramizza, suo principale tributario di destra e il rio di Santo Stefano d’Aveto, assumendo poi direzione nord. Scorrendo impetuoso con andamento nord-est taglia il confine tra le regioni Liguria ed Emilia Romagna fino a giungere alla confluenza con il Trebbia in località Confidente nei pressi dell’abitato di Marsaglia.
Flora
Grazie alla grande varietà di terreni, ambienti e microclimi il territorio di produzione presenta una notevole varietà e ricchezza floristica. Sulle pendici a substrato acido la vegetazione si presenta ricca di boschi di faggio, querce o castano. Salendo di quota i boschi naturali lasciano il posto a distese di prati e pascoli caratterizzati da ricche fioriture estive che includono alcune specie vegetali relitte delle grandi glaciazioni.