La denominazione di ‘Robiola’ ha origini molto antiche, come attestato da testimonianze risalenti al periodo celtico-ligure, in seguito raccontato da Plinio e Pantaleone da Confienza che ne apprezzarono le qualità e ne illustrarono il ciclo produttivo. Il suo nome sembra derivare dal latino ‘rubere’ che significa rosseggiare, proprio come rosseggiante diviene la crosta nelle forme mature. Formaggio ottenuto con latte crudo intero di origine vaccina, al momento del consumo presenta le seguenti caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche:
- forma cilindrica, con un diametro di circa 12 centimetri, un’altezza di 3-4 centimetri con variazioni in eccesso o in difetto dovuti ai mezzi tecnici di produzione e alla durata della maturazione;
- crosta inizialmente inesistente; con il progredire della stagionatura la parte esterna assume una certa consistenza e una colorazione rossastra;
- pasta compatta con leggera presenza di occhiature;
- sapore delicato, dolce e leggermente acidulo nel prodotto fresco che tende a diventare sempre più equilibrato con il progredire della stagionatura;
- struttura elastica e solubile;
- stagionatura che varia dai 10 giorni per il prodotto fresco ai 40 per il prodotto più stagionato.
La Robiola viene consumata come formaggio da tavola, servita come secondo piatto se poco stagionata o a chiusura di pasto se invecchiata e quindi più saporita. Può essere utilizzata anche come condimento nella preparazione di numerose ricette.
[box title=”La Robiola all’Assaggio”]L’Aroma (3,0) più intenso dell’odore, ha nuance di latte leggermente acido, burro, yogurt e vegetale fresco che con la maturazione tenderà ad aromi di funghi. Il sapore Dolce (2,0) è subito percepito ma sparisce abbastanza in fretta perché è coperto dal sapore Acido (3,5) che risulta prevalere anche sul sapore Salato (2,0). La Robiola non mostra il sapore Amaro (0,0), leggermente Astringente (1,0) per via dell’acidità, non risulta Piccante (0,0). Descrivendo la sua struttura mi è tornato in mente quanto diceva Delforno sulla descrizione della Robiola, ‘formaggio fine’ da tavola: è proprio vero. La sua struttura mostra un’evidente Elasticità (2,0), una leggerissima Durezza (0,5) data dalla buccia esterna (che deve essere assolutamente mangiata), non è Friabile (0,0), è invece Adesivo (2,0), molto Solubile (3,0) ed evidenzia una buona Umidità (2,5).
Bruno Morara
[/box]Zona Geografica
La Robiola è una specialità dell’Italia Settentrionale e in modo particolare di alcune valli situate nelle prealpi bresciane.
Tecnologia
La Robiola viene prodotta con latte intero vaccino crudo appena munto proveniente da animali alimentati a base di foraggio verde e conservati a cui si uniscono erbe aromatiche presenti sui pascoli della zona di produzione come timo, serpillo e altre piante aromatiche, elementi che conferiscono al latte quel sapore particolare tipico della Robiola. Il latte proveniente da più mungiture viene trasformato in formaggio utilizzando tecniche morbide, che non causano sconvolgimenti o shock alla flora microbica e batterica originale. Durante la lavorazione, infatti, la materia prima non subisce alcun processo di pastorizzazione ma viene utilizzato direttamente a crudo: la pastorizzazione finirebbe per privarlo di quelle caratteristiche di gusto e composizione che invece sono peculiari del formaggio Robiola.
Il latte, dopo essere stato raccolto, viene portato alla temperatura di 36 °C e addizionato con lattoinnesto e caglio liquido animale in quantità variabile in funzione dell’acidità della materia prima e del tipo di caglio. Dopo circa 20/25 minuti dal momento in cui è stato aggiunto caglio liquido, la massa caseosa ha raggiunto la giusta consistenza per essere rotta con la lira in granuli dalle dimensioni di una noce. Terminata la rottura, la cagliata dopo aver riposato per una decina di minuti viene raccolta e posta all’interno di stampi cilindri dove acquisterà la forma desiderata. Il formaggio è pronto per la lavorazione finale che prevede la salatura e la stagionatura. La salatura avviene per immersione in salamoia subendo continui rivoltamenti affinché la pasta acquisti in modo uniforme il contenuto di sale. Dopo la fase di asciugatura a temperatura ambiente, le forme passano alla stagionatura che avviene in locali idonei aventi una temperatura di circa 10 °C e un’umidità controllata. A maturazione ultimata il formaggio presenta una crosta sottile dal colore rossiccio.
Vincoli con l’ambiente
Storico
L’origine del nome ‘Robiola’ secondo alcuni autori troverebbe la sua radice nelle Langhe dove nell’antichità i suoi abitanti, i Liguri Celti, provvedevano alla produzione della Robiola, allora chiamata ‘Rubeola’ per il caratteristico colore rossiccio che la crosta del formaggio assume quando la stagionatura viene prolungata nel tempo. Secondo altri esperti, la Robiola proverrebbe dalle valli prealpine della provincia di Brescia, da cui si diffuse al resto della Lombardia e del Piemonte.
Naturale
Le prealpi bresciane, situate ad altezze comprese tra i 1300 e i 2000 m sul livello del mare, grazie alla presenza di un clima fresco, all’abbondanza di acqua, alla presenza di essenze aromatiche e alla grande disponibilità di ricchi pascoli creano l’ambiente ideale per praticare l’alpeggio, ma soprattutto per la produzione e la lavorazione del latte destinato alla preparazione della Robiola.
Orografia
L’area di produzione della Robiola comprende alcune regioni dell’Italia Settentrionale quali Piemonte e Lombardia, soprattutto le valli che compongono le prealpi bresciane. Queste ultime sono delimitate a ovest dal lago d’Iseo e dalla val Camonica, a nord dal passo di Crocedomini e dalle valli Giudicarie, a est dal fiume Adige e a sud dalle colline bresciane e veronesi. Il ristretto settore delle prealpi bresciane è delimitato dal bacino del Sebino a ovest e dalla val Sabbia a est. Si possono individuare due catene principali, separate dalla val Trompia: Setteventi–Muffetto-Guglielmo a ovest e Dosso Alto-Monte Palo a est.
Suolo
La zona interessata nella produzione della Robiola da un punto di vista litologico è formata da rocce prevalentemente calcaree originate da sedimenti che si sono depositati circa 150 milioni di anni fa. Le valli furono ricoperte, come gran parte dell’emisfero nord, durante il lungo periodo glaciale, da imponenti masse di ghiaccio, alte molte centinaia di metri. Queste esercitarono, per millenni, grandi pressioni e nel loro lento ma continuo movimento ritirandosi verso il nord lasciarono profondi solchi che furono ulteriormente scavati dalla forza delle acque. La corona di montagne che cinge la parte alta della Valsabbia è per la maggior parte formata da rocce sedimentarie clastiche (arenarie rosse e verdastre, arenarie micacee, conglomerati silicei, anageniti, tufi) originatesi nel periodo Paleozoico, che derivano direttamente dall’accumulo e dalla sedimentazione di frammenti di altre rocce trasportate dalle acque fluviali o marine.
Il clima delle prealpi bresciane è perlopiù temperato, nonostante possa variare a seconda dell’altitudine. Nelle aree prealpine a quote intorno ai 1500 m slm le temperature invernali scendono sensibilmente fino ad arrivare a -20 °C. Variano altresì da zona a zona il regime e la quantità delle precipitazioni, con massimi superiori ai 2000-2500 mm annui. Le precipitazioni si verificano prevalentemente in autunno e in primavera, e d’inverno assumono spesso forma nevosa anche a bassa quota; nel periodo estivo interessano soprattutto la fascia alpina. Scendendo in prossimità dei laghi prealpini gli inverni sono più tiepidi e le estati meno calde grazie all’azione mitigatrice della massa d’acqua apportata dai laghi.
Flora
L’ambiente delle prealpi lombarde può essere considerato uno dei più ricchi e variati di tutto il settore italiano delle Alpi, in particolare per la flora prealpina. Gran parte della superficie è occupata da boschi e foreste di abete rosso, larice, abete bianco e pino silvestre. A basse quote è possibile ammirare le latifoglie, con l’acero, il corniolo, il sorbo, il nocciolo, la roverella e l’ontano. In alta quota i boschi si diradano e l’adattamento alle rigide condizioni atmosferiche produce arbusti contorti come il mugo e il rododendro, e arbusti nani come l’azalea e i salici striscianti. Salendo sempre più di quota i boschi lasciano il posto ai pascoli alpini costellati da innumerevoli specie di flora alpina come la genziana, la genzianella, l’anemone alpino, il papavero alpino e diverse specie di giglio.