La riforma delle IG

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La normativa sulle Indicazioni Geografiche (IG) rappresenta una delle politiche UE di più grande impatto in materia di agricoltura e sviluppo rurale. Un sistema di tutela a cui ha fatto da apripista per i prodotti caseari la “Convenzione internazionale sull’uso delle designazioni d’origine e delle denominazioni dei formaggi”, siglata settant’anni fa a Stresa. Dopo di allora, il sistema UE delle IG ha dimostrato tutta la sua efficacia e strategicità nel valorizzare “saperi” produttivi e culturali unici. Soprattutto in Italia, il primo Paese nell’UE per numero di prodotti IG registrati nel settore agroalimentare, tra i quali 56 formaggi, per un valore complessivo che sfiora i venti miliardi, circa un quarto di quello complessivamente generato dalle IG in UE.

Nel corso degli anni, le proposte di modifica di questo impianto normativo hanno sempre sollevato accese discussioni. Così è stato anche per l’iter che ha portato alla recente approvazione della riforma del regolamento IG. A partire dalle critiche sollevate dalla prima proposta legislativa presentata nel marzo 2022 dalla Commissione europea. Che prevedeva di demandare all’ufficio brevetti europeo (EUIPO) la gestione delle IG. Secondo una “filosofia” di semplice proprietà intellettuale. Una discrasia rispetto all’approccio normativo sui prodotti IG, da sempre considerati come un insieme di elementi socioeconomici che li collegano a un determinato areale, non solo produttivo. Una funzione che il nuovo regolamento comunitario sulle IG appena approvato ha confermato. Riproponendo la “Direzione generale dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale” come il principale soggetto nella loro gestione. Di fatto rafforzando la loro peculiarità, quindi il fulcro del sistema che le tutela.

Aspetti fondamentali anche per i formaggi DOP italiani, che trarranno vantaggio, come previsto dal nuovo regolamento, dalla maggiore protezione ex officio, estesa anche ai casi di evocazioni e usurpazioni nel web, e dalle tutele quando utilizzati come ingredienti. Senza dimenticare la semplificazione delle procedure per la registrazione e la modifica dei disciplinari di produzione. Auspicabile (da tempo) anche per favorire e accelerare un loro ammodernamento. Visto che tra liste di essenze pascolive meritevoli di erbari cinquecenteschi, storytelling tra terre e confini, e vicende di notai, principi e uomini di corte per giustificare il legame del prodotto al territorio, alcuni disciplinari dei formaggi DOP enfatizzano aspetti difficili o discutibili da collegare alle peculiarità del processo produttivo e del prodotto finito. E, invece, poco o niente le caratteristiche concretizzabili in oggettivi, misurabili e identitari standard di qualità e tipicità. Perché nella redazione dei disciplinari a volte si avverte di più la mancanza di sostanza, che la necessità di una riforma.