AFIDOP: affrontare le sfide globali con la qualità

16

Rafforzare il ruolo di AFIDOP a tutti i livelli, continuare sulla via dell’internazionalizzazione giocando la carta della qualità e distintività dei formaggi DOP italiani. Questi alcuni degli obiettivi futuri dell’Associazione Formaggi Italiani DOP e IGP.

“L’unico modo per fronteggiare i dazi è puntare sulla qualità.” Queste è la convinzione di Antonio Auricchio, presidente di AFIDOP. Un messaggio centrale nell’assemblea annuale di AFIDOP, tenutasi a Roma, che ha tracciato un bilancio dei successi e di sfide future del settore caseario italiano tutelato.

“I formaggi DOP e IGP rappresentano un’eccellenza e un patrimonio culturale che dobbiamo preservare – ha ribadito Auricchio. – Rafforzare la filiera e difendere il valore autentico dei nostri prodotti contro imitazioni e frodi è essenziale per consolidare la presenza nei mercati internazionali, dove il made in Italy è sinonimo di qualità e tradizione”.

Il peso dei dazi

L’assemblea ha dibattuto lo spinoso tema dei dazi USA sulle importazioni UE introdotti da Trump. E i formaggi DOP e IGP sono tra i prodotti che ne subiranno gli effetti. Gli USA sono infatti il primo mercato extraeuropeo di sbocco per i formaggi italiani: solo nell’ultimo anno il nostro Paese ne ha esportato 40.900 tonnellate, di cui l’80% è DOP.

Come noto, l’amministrazione americana ha sospeso fino al 9 luglio la metà dell’aumento deciso il 2 aprile. È attualmente in vigore quindi, “solo”, +10%, ma ragionando sul complessivo +20% previsto, sul valore in dogana è possibile stimare un costo complessivo per dazi di quasi 150 milioni di euro, circa 100 milioni di euro, che si sommano ai 50 dell’anno scorso.

In questo contesto, il problema è ben sentito dalle DOP, poiché sono responsabili di oltre 4/5 dei volumi di export caseario verso gli Stati Uniti. Ed in particolare per la triade Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Pecorino Romano (95% dell’export di formaggi DOP verso gli USA).

“L’applicazione di dazi aggiuntivi non si esaurisce poi con effetti sull’entità della tassazione sui nostri prodotti, sui prezzi per il consumatore americano, o i volumi di consumo. Ma determinano anche un serio rischio di alimentare fenomeni nefasti per la nostra economia come l’Italian sounding – argomenta Antonio Auricchio. – Queste misure quindi non solo andrebbero a penalizzare le nostre produzioni certificate ma, facendo leva sulla fiducia del consumatore, aprirebbero la strada a prodotti locali che, imitando i nostri formaggi DOP, verrebbero favoriti”.

Consumo interno

Si stima che la produzione DOP e IGP nazionale assorba 6,44 milioni di tonnellate di latte, vaccino e non, circa il 48% delle consegne totali di latte.

La produzione casearia DOP e IGP nel 2024 ha superato le 600mila tonnellate. Fatta eccezione per la Mozzarella di Bufala Campana Dop, rimasta stabile, a incidere maggiormente sull’aumento produttivo sono stati soprattutto: Grana Padano con +3,5%, Parmigiano Reggiano +1,4%, Gorgonzola +1,9% e Pecorino Romano +7,1%.

Anche i formaggi con produzioni più contenute hanno ottenuto ottime e pure più alte percentuali. E’ questo il caso di: Provolone Valpadana +5,6%, Valtellina Casera +8,9%, Pecorino Toscano +3,9%.

Dal punto di vista geografico, le DOP hanno i loro pesi percentuali più rilevanti nella produzione casearia di Emilia-Romagna (90%), Campania (circa 60% dei volumi totali regionali), Sardegna (54%), Lombardia e Piemonte (entrambi sopra il 40%), Veneto (46%), Friuli-Venezia-Giulia, Trentino-Alto Adige, Toscana e Lazio (per queste quattro regioni in misura variabile compresa tra 12% e 20%).

L’export

Il 40% di quota volume sul totale formaggi esportati è la media ponderata tra un 37% verso i mercati UE e un 48% verso extra UE.

L’extra UE mostrerebbe quindi una maggiore propensione alle DOP. Merito, senz’altro, degli accordi commerciali tra le Indicazioni Geografiche con ben 34 Paesi, ma anche del grande appeal di cui godono in questi mercati i duri, a latte vaccino e/o ovino. I Paesi che davvero spingono le percentuali sono Canada e Stati Uniti: in entrambi la quota volume supera l’80%, quella in valore l’85%.

Gli altri Paesi hanno in genere un rapporto DOP su totale analogo o vicino alla media mondo (40-43% in volume). È così per Svizzera (41%), UK (40%) Giappone (36%), Norvegia (36%), Corea del Sud (34%). Invece, livelli più bassi si hanno in Emirati Arabi (30%) ed Arabia Saudita (21%), e in Cina (7%) che predilige i freschi.

Focalizzandosi sui mercati a maggior velocità di crescita delle vendite DOP, non si può non citare: Arabia Saudita con +26% a volume sul 2023; Sud Corea (+24%), Emirati Arabi Uniti (+20%), Giappone (+18%), Canada (+15%) e USA (+10%).

Anche alcuni Paesi UE hanno registrato tassi a doppia cifra – Austria (+13%), Polonia (+11%), Romania (+19%) – in un contesto, quello comunitario, che vede le quote DOP più alte in Germania (52% dei volumi totali esportati), Danimarca (48%), Svezia (46%), Paesi Bassi (44%).

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here