Una delle determinazioni analitiche più richieste sui prodotti lattiero-caseari è la composizione in acidi grassi, sia per la definizione delle caratteristiche nutrizionali, sia per lo studio e l’ottimizzazione delle diete il loro miglioramento genetico delle bovine
L’attenzione al profilo di acidi grassi deriva dal ruolo sia positivo sia negativo che esso può avere da un punto di vista nutrizionale. A determinare queste proprietà concorrono principalmente caratteristiche chimiche come la lunghezza delle catene di atomi di carbonio, il numero, la posizione e la configurazione dei doppi legami. È ben noto infatti che acidi grassi insaturi a catena lunga (come ad esempio gli omega-3) possono avere effetti positivi sul sistema cardiovascolare, d’altro canto l’assunzione acidi grassi insaturi con uno o più doppi legami in configurazione trans di origine tecnologica è associati a un maggiore rischio di malattie cardiovascolari (1).
La matrice
Il grasso di latte è uno dei più complessi lipidi alimentari poiché presenta un profilo con un elevato numero di differenti acidi grassi (ne sono stati identificati fino a 400), con un numero di atomi di carbonio da 4 a 24, con una complessità molto superiore rispetto a quella riscontrabile nei grassi di origine vegetale (2). Il 98,3% del grasso di latte è costituito da trigliceridi che vengono sintetizzati nell’epitelio delle ghiandole mammarie. Gli acidi grassi utilizzati nella sintesi dei trigliceridi possono provenire da due diverse fonti: dal catabolismo dei lipidi della dieta, trasportati con il flusso sanguigno (circa il 60-80% degli acidi miristico e palmitico e il 100% degli acidi C18 sia saturi sia insaturi), oppure dalla sintesi de novo a livello delle ghiandole mammarie (soprattutto gli acidi a catena corta e media).
Il processo di desaturazione interessa principalmente gli acidi grassi con 18 o più atomi di carbonio e risulta limitato principalmente dalla stearoil-coenzima A desaturasi, enzima localizzato prevalentemente nelle ghiandole mammarie. Il grasso del latte è anche una delle principali fonti naturali di acidi grassi trans rappresentati principalmente dall’acido vaccenico (C18:1-t11) e dagli isomeri dell’acido linoleico coniugato (CLA) principalmente C18:2–c9,t11. Questi acidi vengono sintetizzati nel rumine durante il processo digestivo sia ad opera di alcuni microorganismi sia, a livello endogeno, attraverso le desaturasi, in particolare la Δ9 desaturasi (3). A differenza degli acidi grassi trans derivati da processi tecnologici, quelli sintetizzati naturalmente presenti nei prodotti lattiero caseari non sembrano avere effetti negativi sulla salute umana, ma al contrario, sembrano mostrare svariati effetti benefici sull’organismo (anticarcinogenici, sul sistema immunitario, sulla lipogenesi).
Per questo motivo in alcuni paesi come USA, Canada, Danimarca e Svizzera l’indicazione in etichetta del contenuto totale di acidi grassi trans è divenuta obbligatoria e sono state proposte anche a livello europeo regolamentazioni in tal senso. La determinazione di riferimento del profilo degli acidi grassi (Standard ISO 15884, 2002) prevede una prima fase di estrazione del grasso mediante solventi e la derivatizzazione degli acidi grassi a metilesteri (FAME) e la successiva analisi gascromatografica (GC), che, qualora si voglia ottenere la massima separazione possibile degli isomeri degli acidi insaturi, richiede l’utilizzo di colonne capillari polari di elevata lunghezza (100m e oltre) e comporta lunghi tempi di esecuzione. I dati vengono espressi come g/100g di acidi grassi totali (4).
Le metodiche analitiche
La complessità delle metodiche di riferimento giustifica il forte interesse per lo sviluppo di tecniche rapide basate sulle spettroscopie nel medio (MIR) e nel vicino (NIR) infrarosso, accoppiate a metodi chemiometrici di trattamento del segnale. Attualmente la spettroscopia FT-IR è una delle tecniche più utilizzate per la determinazione dei macrocostituenti (grasso, proteine, caseina, lattosio) e di alcuni componenti minori del grasso (ad esempio acido citrico, acidi grassi liberi e urea). L’analisi FTIR del latte richiede che il campione venga omogeneizzato prima della registrazione dello spettro in trasmissione che viene effettuata utilizzando una cella in fluoruro di calcio con un cammino ottico inferiore a 50 μm in condizioni di temperatura controllata.
Di recente sono stati presentati sia lavori scientifici che applicazioni commerciali per la determinazione mediante questa tecnica delle principali classi di acidi grassi e dei singoli acidi più abbondanti direttamente su latte (5). Alla base dello sviluppo di questi modelli di calibrazione è la dimostrazione che nello spettro medio-infrarosso del latte tal quale è effettivamente possibile rilevare con buona risoluzione le bande dovute alle vibrazioni fondamentali di stretching dei gruppi C=O e C-O presenti nel gruppo estere dei trigliceridi, le differenti bande dovute allo stretching delle funzioni metiliche (CH3) e metileniche CH2) delle catene alifatiche degli acidi grassi e la vibrazione e il bending dei rispettivi C-H .
Mediante l’utilizzo di campioni di latte con contenuto e composizione del grasso modificati secondo un adeguato disegno sperimentale è stato dimostrato che, seppure con una certa approssimazione, dai rapporti tra le intensità di queste bande è possibile risalire alla lunghezza media delle catene alifatiche e al loro grado di insaturazione (6). Tuttavia nelle normali condizioni operative, quando i modelli di calibrazione debbono essere sviluppati a partire da matrici lattiero-casearie a contenuto in grasso variabile, si possono ottenere risultati illusoriamente ottimistici: infatti è inevitabile che vengano modellate simultaneamente la variazione in contenuto totale di grasso e la variazione del profilo acidico.
Esprimendo la concentrazione delle singole classi come contenuto in 100g di prodotto e non su 100 g di grasso si ha una valutazione eccessivamente ottimistica delle capacità predittive dei modelli dovuta sostanzialmente al peso della variabilità del contenuto in grasso totale sulla stima. Una valutazione espressa in funzione del grasso, come nella metodica di riferimento, mostra però sempre una drastica riduzione delle performances predittive. Tale scadimento di performances non è da imputare tanto all’insufficiente contenuto di informazione ricavabile dalla tecnica IR quanto alla ridotta concentrazione di grasso nel campione e al ridotto cammino ottico che occorre impiegare con questa tecnica.
L’utilizzo della spettroscopia nel vicino infrarosso su latte liquido presenta meno difficoltà tecniche rispetto al medio, è infatti possibile utilizzare sia cammini ottici più lunghi, fino a 1 mm e oltre, senza avere fenomeni di saturazione segnale, sia materiali più economici (vetro e quarzo) e duraturi per la costruzione delle cuvette. Tuttavia in questa regione spettrale la sovrapposizione e il rapporto più sfavorevole tra i coefficienti di estinzione molare tra le bande di interesse (overtones e combinazioni) e quelle della matrice acquosa non permettono di ottenere performances predittive superiori a quelle che si possono ricavare nel medio infrarosso.
Per superare queste problematiche recentemente è stato proposto un metodo che prevede l’essiccazione e la registrazione dello spettro in riflettenza dei campioni di latte dopo adsorbimento su filtri in fibra di vetro (comunemente utilizzati per la filtrazione degli eluenti per HPLC) otticamente neutri nella regione NIR. Sono stati ottenuti risultati apprezzabili su latte sia di vacca sia di capra (7).