Chi grida di più

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03893FCHNon mi appassiona commentare polemiche altrui. Lo spunto per farlo è il recente confronto di opinioni (www.linkiesta.it) tra la principale Organizzazione di imprenditori agricoli e un gruppo industriale caseario vicentino. All’origine del tutto il recente caso micotossine nel latte, con i relativi (mancati? lacunosi?) controlli e indagini giudiziarie.

Da una parte, le dichiarazioni dell’Organizzazione agricola che denuncia la carenza di controlli sul latte importato dall’Est Europa. Dall’altra, il gruppo caseario, con insediamenti produttivi nella Repubblica Ceca, a sostenere la qualità del latte lì prodotto e, più in generale, la miglior qualità del latte del resto d’Europa rispetto a quello padano in termini di contaminazione da micotossine.

Al di là delle ragioni dei singoli, le dichiarazioni dell’Organizzazione agricola mi lasciano tuttavia perplesso, innanzitutto per i contenuti. I soliti direi, dato che ogni qualvolta si presenta un problema in casa nostra la cosa più facile è comunicare mediaticamente ciò che di peggio (forse) accade fuori i patri confini. Non in altri continenti, ma in altri Paesi dell’UE per i quali, evidentemente, valgono le stesse regole e limiti in materia di contaminanti del latte, micotossine incluse. Affermare che in Italia, a differenza di quanto avviene all’estero, la sicurezza del latte viene maggiormente garantita è perciò quantomeno fuorviante.

Uguale perplessità solleva il tono di altre affermazioni. Per l’Organizzazione agricola in questione, produrre all’estero formaggi a pasta dura e affermare che certe condizioni agroclimatiche (s)favoriscono la presenza di micotossine diventano atti antipatriottici di chi vuol male al Paese tradendone miseramente l’immagine e la tradizione.

Purtroppo, non è con questi contenuti e toni che si fa chiarezza. Non è così che i consumatori, la gente, possono comprendere la natura dei problemi della nostra filiera latte e, soprattutto, capire quali siano le strategie necessarie per darle competitività e prospettive, ad iniziare dagli allevatori.

L’importante è l’ennesimo proclama, l’ennesimo evento mediatico, con gli stessi protagonisti e, purtroppo, i medesimi toni e contenuti. Fare la guerra a qualsiasi prodotto alimentare finito o semilavorato estero è di moda. Metterne in dubbio, perché non italiano, la sicurezza, la tracciabilità e la qualità, un mantra. Peggio, gettare a terra latte in polvere e cagliate di importazione, con tanto di servizi televisivi in prima serata, è solo un segno di disprezzo per il cibo che, a prescindere dall’origine, dovrebbe rappresentare un valore etico e simbolico per tutti, Organizzazioni agricole comprese.

La vacca è di chi urla di più (per i milanesi Chi vusa püsé la vaca l’è sua!) ovvero ha ragione chi urla di più. Se ciò vale per il sensale e la compravendita delle vacche, l’esasperazione dei toni e lo svilimento dei contenuti non valorizzano certo i prodotti lattiero-caseari italiani. Rischiano solo di mettere in discussione la fiducia che il made in Italy lattiero-caseario riscuote all’estero, speriamo ancora per molto.