Il latte versato

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Non ci voleva un mago per prevedere che la questione del latte ovino sardo, e di tutta la filiera del Pecorino Romano, sarebbe tornata agli onori della cronaca. Più difficile immaginare che avrebbe assunto toni così accesi, con blocchi stradali e versamento di latte su strade provinciali e statali. Di certo un atteggiamento non edificante, ma evidentemente in linea con il convincimento (peraltro non nuovo per il mondo del latte italiano) che solo attraverso una protesta “forte”, di grande impatto mediatico, sia possibile far conoscere e valere le proprie istanze.

Peraltro, l’attuale situazione non è diversa, nella sostanza del prezzo del latte, da quella che caratterizzò gli anni tra il 2011 e il 2014. Subito dimenticata con un 2015 da record per prezzo del latte a un euro al litro ed esportazioni in grande spolvero. Per arrivare alla primavera 2016, con il prezzo del latte a 50 centesimi. E al 2017 con circa 85 centesimi, valore poco superiore a quello registrato fino a ottobre 2018. Da allora un calo fino ai 60 centesimi di febbraio. Dieci anni di ottovolante dei prezzi senza che nessuno muovesse un dito. Senza fermare la giostra, e trarne il dovuto insegnamento capitalizzando contesti di mercato favorevoli per (ri)strutturarsi secondo strategie che permettessero di gestire meglio i momenti di crisi. Soprattutto senza capire che il mercato, entità tanto evocata quanto poco considerata, è un elemento da governare e non subire. Regola a cui nessuno sfugge, industria casearia, cooperative lattiero-casearie e allevatori. Anche in Sardegna e a maggior ragione se (quasi) tutti sono convinti (… è un dato di fatto) che il prezzo del latte ovino è fortemente collegato a quello del Pecorino Romano. E allora, se la produzione di latte ovino e Pecorino Romano aumenta mentre i consumi domestici e le esportazioni diminuiscono, non ci vuole di nuovo un mago per capire che qualcuno sarebbe rimasto con il cerino acceso in mano. Come spesso accade, i produttori di latte.

La situazione, tutt’altro che congiunturale, è cronica da decenni. Le soluzioni proposte sono più o meno attuali o applicabili. E, come spesso accade, comprendono la richiesta di un intervento della politica e la ricerca del colpevole di turno individuato, anche in questo caso, in politiche di cartello delle industrie casearie. Magari, per essere originali, questa volta sarebbe opportuno anche chiedersi perché negli Stati Uniti, il mercato estero di riferimento per il Pecorino Romano, i consumi non sono diminuiti, ma cambiati in favore di formaggi pecorini prodotti in altri Paesi UE.

Una cosa è però chiara: la questione latte ovino sardo non può essere risolta che in una prospettiva di filiera. In quest’ottica, più che la politica potrà svolgere un ruolo determinante OILOS, l’organismo interprofessionale in cui sono rappresentati tutti i settori della filiera del latte ovino sardo. La speranza è che possa finalmente coordinarli per dare riposte concrete e durature di interesse comune. Perché, banalmente, questo richiede il mercato. E il potere di mercato della filiera dipenderà in gran parte dalla sua capacità di incidere su prezzo e quantità di latte e pecorino. Dinamiche che vanno governate e che possono essere governate solo da produttori di latte e formaggio. Se così non sarà, inutile piangere sul latte versato.