A distanza di qualche mese dal referendum con cui il Regno Unito ha deciso la propria uscita dall’Unione europea, si cominciano a fare i conti dell’impatto di Brexit sul settore lattiero-caseario. Il dato economico di partenza è che con Brexit l’Unione europea perde il Paese che negli ultimi cinque anni ha contribuito a un terzo della crescita economica complessiva comunitaria. Non solo, nello stesso periodo il Regno Unito ha registrato i più forti incrementi nei consumi, pari a più della metà dell’aumento globale dei consumi stessi nell’Unione. Non a caso fino a oggi il Regno Unito si è rivelato un mercato in continua espansione, anche per l’export di formaggi italiani che rappresenta il valore economico più importante dopo il vino. Oltre 200 milioni di euro nel 2015, in progresso rispetto all’anno precedente. Dopo l’embargo russo, la questione Brexit arriva perciò in contesto favorevole, quando paradossalmente l’export di formaggi a livello comunitario aveva raggiunto valori pre-embargo.
Embargo russo e Brexit, fenomeni politicamente diversi ma entrambi capaci di ridurre i consumi e la propensione alla spesa. Eppure, secondi molti analisti economici il comparto caseario italiano potrebbe risentire poco di Brexit, meno di altri settori dell’agroalimentare nazionale. Secondo queste analisi, l’apprezzamento del mercato britannico per i formaggi made in Italy sarà l’elemento chiave nell’attenuare gli effetti economici di Brexit. Decisiva sarà ancora una volta la qualità dei nostri formaggi. Una specificità da tutelare nel Ttip tra Europa e Stati Uniti perché questo trattato, se mai si concludesse, non diventi un’ulteriore preoccupante incognita dopo Brexit e embargo russo.
Di sicuro, nell’immediato futuro la Gran Bretagna non sarà autosufficiente per produzione lattiero-casearia. In mancanza di accordi bilaterali (scenario improbabile?), l’applicazione di dazi forse modificherà le strategie britanniche di approvvigionamento, magari orientandole verso mercati lattiero-caseari più convenienti di quelli degli ex partner UE. Anche in questa prospettiva, il mantenimento di elevati standard qualitativi del formaggio made in Italy dovrà accompagnarsi a politiche per garantire il miglior rapporto prezzo/qualità. Discorso forse più semplice per le nostre produzioni industriali che non per quelle più tradizionali.
È comunque presto per sapere se questi saranno gli elementi determinanti per il dopo . Tra due anni o poco più le cose saranno più chiare per tutti, anche per gli extracomunitari britannici. Di certo, nonostante la non autosufficienza, nella terra di Albione si continuerà a consumare prodotti lattiero-caseari. Non foss’altro per non contraddire quanto disse Churchill: “Non c’è, per nessuna comunità, investimento migliore del metter latte dentro ai bambini”. Ipse… Brexit.