La normativa in-cagliata

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Incertezza del diritto, imprevedibilità della giustizia, arbitrarietà del giudizio: temi caldi che non risparmiano vicende inerenti il settore lattiero-caseario.

È il caso dell’ordinanza dell’ottobre scorso con cui il Tribunale del riesame di Napoli ha rigettato le richieste di custodia cautelare e sequestro formulate dal P.M. per presunte violazioni del Disciplinare di Produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP. Al riguardo, quanto scritto in mezza pagina merita una riflessione.

La parte faceva riferimento alla “questione cagliate”, ribadendo l’italianità della mozzarella (e di altri formaggi freschi a pasta filata generici) ottenuta dalla filatura in caseifici italiani di cagliate di provenienza UE. Poche righe sufficienti a (ri?)legittimarne l’uso in caseificazione, nella cornice di una vicenda che sa tanto di Italian sounding intra moenia.

Questa legittimazione trova fondamento giuridico nel principio che il luogo di origine dei prodotti alimentari trasformati “…si identifica nel luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale”. Da un punto di tecnologico rimarrebbe da capire se per un formaggio fresco a pasta filata la trasformazione sostanziale debba ricondursi alla sua natura di formaggio, e quindi al luogo della coagulazione presamica del latte, ovvero alla sua tipologia merceologica (a pasta filata) e quindi al luogo di filatura della cagliata.

La sentenza comunque rigettava la richiesta di sequestro di uno stabilimento, in cui tale presunto illecito veniva praticato, poiché “frutto di una inesatta applicazione della normativa di riferimento”. La discrasia di valutazione tra P.M. e Tribunale del riesame solleva non poche perplessità. Giusto 350 anni fa, immune dall’italico dibattito garantista/giustizialista, Harrington osservava che “Ogni legge che lascia il meno d’arbitrio ai giudici e ai tribunali è la più perfetta”. Ma siamo sicuri che la “questione cagliate” si limiti all’arbitrarietà di giudizio …o c’è dell’altro? Io credo di sì. È noto (a tutti i livelli) che in Italia nel settore dei formaggi generici vengono da tempo utilizzate anche (tecnologie e) materie prime non convenzionali, in qualche modo non conformi al dettato del R.D.L. 2033 del 1925 e della L. 11/4/1974 n. 138.

Incredibile, che per alcune di queste materie non si è in grado di quantificarne i flussi in entrata (e quindi l’entità del loro utilizzo) poiché incluse in codici doganali non specifici: per esempio le cagliate figurano nel codice che fa riferimento ai formaggi freschi (non affinati). Peraltro, le cagliate d’importazione possono a loro volta essere legalmente preparate anche impiegando proteine del latte, …altre materie prime non convenzionali.

A fronte di ciò?

Un quadro normativo mai adeguato come avvenuto in altri Paesi UE forti competitori del settore caseario italiano nel comparto dei formaggi generici, ma solo “interpretato” da qualche Circolare ministeriale riguardante l’uso di alcune di queste materie prime non convenzionali. Il quadro di riferimento non è dei più chiari e, in sede di procedimenti penali, ciò ha favorito giudizi non sfavorevoli all’utilizzo di materie prime non convenzionali in caseificazione. Di certo, una normativa frammentaria o contrastante crea (da troppi anni) se non illeciti, sicuramente equivoci, concorrenza sleale e limita fortemente l’efficacia dei controlli. In uno scenario tecnologico e economico così in movimento, la normativa italiana non può restare ancora per molto in-cagliata.