Nuova sentenza sul latte di bufala concentrato e congelato

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Lo spinoso tema della detenzione e dell'uso di latte bufala concentrato e congelato è stato al centro di un contenzioso

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (sezione Quinta) ha appena pronunciato una sentenza relativa al tema del latte di bufala concentrato e congelato e alla tracciabilità del latte di bufala. Ne riportiamo alcune parti, lasciando al lettore l’approfondimento della sentenza.

I fatti

A un controllo di ICQRF, il caseificio “espone di utilizzare una tecnologia che, mediante sottrazione di una parte dell’acqua, consente di ridurre il volume del latte di bufala (cd. “latte concentrato”) per poi congelarlo e conservarlo”. E questo “al fine di utilizzarlo per la produzione di mozzarella non DOP nei periodi di maggiore domanda e minore offerta di materia prima”.

ICQRF procedeva al sequestro amministrativo di latte di bufala concentrato e congelato, contestando la mancata istituzione del registro dematerializzato di carico e scarico previsto dall’art. 3 della Legge n. 138/1974.

Ritenendo la L. 138/1974 non applicabile al latte di bufala, la società comunicava all’ICQRF di aver attivato il registro previsto dal D.M. 9/09/2014 relativo alla “Tracciabilità della filiera bufalina”. L’Amministrazione, tuttavia, riteneva tale adempimento non conforme, insistendo per l’applicazione della L. 138/1974.

Infine, l’ICQRF emetteva l’ordinanza n. 21/2025, con cui disponeva il dissequestro della merce, sebbene a condizione che la società istituisse il registro di carico e scarico ai sensi dell’art. 3 della L. 138/1974 e si astenesse dall’utilizzare il latte concentrato per la preparazione di prodotti caseari.

I motivi del ricorso

A sostegno del ricorso – si legge nella sentenza – la società deduce i seguenti motivi di diritto:

1. La ricorrente (il caseificio) sostiene che l’intero impianto sanzionatorio e prescrittivo si fondi sull’erronea applicabilità della Legge n. 138/1974 al latte di bufala. Si argomenta che, al momento dell’emanazione di tale legge, la nozione legale di “latte”, ai sensi dell’art. 15 del R.D. n. 994/1929, si riferiva esclusivamente al “latte proveniente dalla vacca”. L’interpretazione sarebbe confermata dall’l’allegato VII, parte III, punto 4, del reg. UE 1308/2013, tuttora in vigore, stabilisce che “le specie animali che ne sono all’origine devono essere specificate, quando il latte non proviene dalla specie bovina”.

2. Si deduce che la normativa nazionale e comunitaria successiva alla L. 138/1974, incompatibile con essa, ne determinerebbe l’inoperatività per il settore bufalino. Si fa riferimento al D.L. n. 91/2014, che ha introdotto un sistema di tracciabilità specifico per la filiera del latte di bufala, e al D.M. 8 gennaio 2015, che ha istituito un apposito registro per il latte bufalino.

3. La ricorrente asserisce che, anche a voler ritenere la L. 138/1974 astrattamente applicabile, quest’ultima sarebbe comunque inoperante in quanto tacitamente abrogata per contrasto con la normativa europea successiva, direttamente applicabile. Il reg. (CE) n. 853/2004 definisce i “prodotti lattiero-caseari” come “prodotti trasformati risultanti dalla trasformazione di latte crudo”. Il latte concentrato e congelato, ottenuto per sottrazione di acqua, rientrerebbe in tale categoria.

4. La ricorrente si duole che il divieto imposto dalla L. 138/1974 costituisca una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione. La finalità originaria della legge, di natura protezionistica, sarebbe in palese contrasto con i principi del mercato unico europeo. Pertanto, il giudice nazionale avrebbe il dovere di disapplicare la normativa interna confliggente con il diritto dell’Unione.

5. Infine, la ricorrente lamenta la violazione del principio del legittimo affidamento, in quanto l’Amministrazione resistente, dopo aver tollerato e implicitamente avallato per oltre un decennio la prassi della concentrazione e congelamento del latte di bufala, avrebbe improvvisamente e immotivatamente mutato il proprio orientamento interpretativo.

Che cosa contesta l’amministrazione

Il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste ha contestato in fatto e in diritto le deduzioni avversarie. Inoltre ha sostenuto la piena legittimità dei provvedimenti impugnati e la corretta applicazione della L. n. 138/1974 anche al latte di bufala, in quanto la norma si riferirebbe a “latte” e “prodotti caseari” in senso generico.

Nella sentenza, sottolinea il giudice, La ricorrente non contesta l’esistenza in capo all’Amministrazione del potere di regolamentare il settore lattiero-caseario, quanto piuttosto ne denuncia l’esercizio in concreto come avvenuto in violazione delle norme che lo disciplinano.

La controversia, pertanto, non attiene al “se” e al “quanto” di una sanzione pecuniaria, ma al “se” l’Amministrazione avesse il potere di agire nel modo in cui ha operato.

Nel caso specifico, l’amministrazione ha, difatti, nella sostanza, ingiunto alla ricorrente l’istituzione del registro dematerializzato di carico e scarico di latte in polvere, latte concentrato e di altri latti conservati di cui all’art. 3 della L. n. 138/1974. E ha inibito pro futuro la detenzione, l’utilizzo, la vendita e il commercio di latte di bufala concentrato o in polvere per la preparazione di produzioni casearie ai sensi dell’art. 1 della citata legge. Si è quindi in presenza di una attività provvedimentale diretta a disciplinare ed a limitare l’attività di impresa.

L’accoglimento del ricorso dell’azienda

“Nel merito – scrive il giudice – il ricorso è fondato e merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

La questione centrale sottoposta al vaglio di questo Tribunale attiene alla legittimità dei provvedimenti impugnati, i quali si fondano integralmente sull’assunto della piena applicabilità alla filiera del latte di bufala della Legge n. 138, aprile 1974, recante “Norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l’alimentazione umana”.

In particolare, l’Amministrazione resistente ha ritenuto che la detenzione di latte di bufala concentrato e congelato da parte della società ricorrente violasse sia l’art. 1 della citata legge, che vieta l’utilizzo di latte concentrato per la preparazione di prodotti caseari, sia l’art. 3, che impone la tenuta di un apposito registro di carico e scarico dematerializzato nel sistema SIAN.

La tesi dell’Amministrazione non può essere condivisa, in quanto frutto di un’erronea interpretazione della normativa di settore, sia sotto il profilo dell’esegesi letterale e storica, sia alla luce del sopravvenuto e prevalente diritto dell’Unione Europea”.

“Tuttavia, – si legge ancora nella sentenza – il Collegio non può esimersi da una più puntuale interpretazione dell’ambito applicativo della L. n. 138/1974, tenendo conto del contesto normativo vigente all’epoca della sua emanazione. Come correttamente dedotto dalla difesa di parte ricorrente, per determinare la portata del termine “latte”, occorre fare riferimento alla nozione legale esistente nel 1974. “Con la sola parola ‘latte’ deve intendersi il latte proveniente dalla vacca”.

La stessa norma precisava che “Il latte di altri animali deve portare la denominazione della specie cui appartiene l’animale che lo fornisce”. Ne consegue che, sul piano dell’interpretazione storica e letterale, il legislatore del 1974, utilizzando il termine generico “latte”, non poteva che riferirsi al solo latte vaccino, in conformità alla definizione legale allora vigente”. La ratio legis era, infatti, “volta a proteggere la produzione nazionale di latte vaccino fresco dalla concorrenza del latte in polvere o concentrato, allora importato a costi inferiori e talvolta utilizzato in modo fraudolento”.

L’introduzione di un regime di tracciabilità ad hoc per il latte di bufala dimostra, sul piano sistematico/teleologico, la volontà del legislatore di sottrarre tale filiera all’applicazione di normative generali preesistenti, riconoscendone le specificità produttive e di mercato.

In altri termini, a sostegno della tesi di parte ricorrente occorre tenere conto della specifica previsione contenuta nel reg. (UE) n. 1308/2013. Pertanto, in base alla disciplina comunitaria, la mera nozione di “latte” in assenza di ulteriori specificazioni si riferisce a quello di produzione vaccina.

Scrive ancora il giudice “quand’anche, in via di mera ipotesi, si volesse ritenere la L. 138/1974 astrattamente applicabile al latte di bufala, essa dovrebbe comunque essere disapplicata dal giudice nazionale per palese e insanabile contrasto con i principi e le norme del diritto dell’Unione Europea, dotati di efficacia diretta nell’ordinamento interno.

Il reg. (CE) n. 853/2004 definisce i “prodotti lattiero-caseari” come “i prodotti trasformati risultanti dalla trasformazione di latte crudo o dall’ulteriore trasformazione di detti prodotti trasformati”. Il latte concentrato, ottenuto mediante sottrazione di acqua, è a tutti gli effetti un prodotto risultante dalla trasformazione di latte crudo.

Inoltre, il reg. (UE) n. 1308/2013, all’allegato VII, parte III, ammette che la denominazione “latte” possa essere utilizzata per il latte che ha subito modifiche nella sua composizione, “purché tali modifiche si limitino all’aggiunta e/o alla sottrazione dei suoi componenti naturali”. La concentrazione del latte mediante evaporazione dell’acqua rientra pacificamente in tale categoria. La norma nazionale, introducendo un divieto generalizzato e incondizionato, risulta incompatibile con il quadro normativo europeo e, in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione, deve essere disapplicata”.

Nel caso di specie, il divieto italiano:

(i) da un lato, configura una “normativa tecnica” che impedisce la commercializzazione sul territorio nazionale di prodotti caseari legalmente fabbricati in altri Stati membri utilizzando latte concentrato;

(ii) dall’altro, rappresenta una misura che restringe l’accesso al mercato, poiché, pur non vietando l’importazione del latte concentrato in sé, ne limita drasticamente l’impiego, scoraggiandone di fatto l’acquisto e la circolazione.

Tale restrizione non appare giustificata da alcuna delle esigenze imperative riconosciute dalla giurisprudenza (come la tutela della salute pubblica). Né l’Amministrazione ha fornito alcuna prova di un rischio concreto per la salute pubblica derivante dall’utilizzo di latte concentrato e congelato, soprattutto se ottenuto con tecniche moderne che ne preservano le qualità, come quella descritta dalla ricorrente.

Per completezza, va poi evidenziato che, in ogni caso, non è in contestazione il divieto di utilizzo del latte di bufala concentrato e congelato nella preparazione di mozzarella di bufala DOP.

Alla luce delle considerazioni espresse, deve quindi ritenersi che la normativa di settore applicata dall’amministrazione (artt. 1, 3 della L. n. 138/1974) non si applichi al settore lattiero – bufalino “non DOP”, con conseguente illegittimità della gravata attività provvedimentale. Non può non rilevarsi la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento, corollario dei principi di certezza del diritto e di buona amministrazione.

Risulta pacifico, e non contestato dall’Amministrazione, che la prassi della concentrazione e congelamento del latte di bufala sia in uso da lungo tempo presso numerosi operatori del settore e che la stessa Amministrazione, pur avendo svolto in passato controlli, non avesse mai sollevato contestazioni al riguardo.

Tale prolungata inerzia, protrattasi per oltre un decennio, ha ingenerato negli operatori un ragionevole affidamento sulla liceità del proprio operato, inducendoli a effettuare investimenti significativi in tecnologie e impianti e a organizzare la propria attività produttiva sulla base di tale consolidata prassi. Il repentino e immotivato mutamento di indirizzo interpretativo, in assenza di nuove disposizioni normative o di una chiara motivazione fondata su un preminente interesse pubblico, lede il principio di buona fede e correttezza che deve informare i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. L’affidamento del privato è meritevole di tutela quando l’Amministrazione, con il suo comportamento, ha contribuito a creare una situazione di apparente stabilità e legittimità, sulla quale il cittadino ha basato le proprie scelte economiche”.

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