Latte di bufala senza requie

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Legge 138 del 1974: per il TAR Campania non si applica al latte di bufala ed è stata disapplicata “in toto” dal legislatore UE

di Carlo Correra, avvocato ed esperto di legislazione degli alimenti

Il fatto

Nel gennaio 2025 gli Ispettori dell’Ufficio Campania e Molise del Dipartimento Centrale Repressione Frodi del Ministero dell’ Agricoltura (ICQRF) procedevano al sequestro amministrativo di cospicui quantitativi di “latte di bufala parzialmente disidratato e congelato” custodito presso i depositi di sei aziende casearie della Campania ravvisando per le stesse aziende la violazione dell’articolo 1 della legge n. 138 dell’11 aprile 1974 e quindi l’illecito amministrativo di cui all’articolo 3 della stessa legge.

Invero, secondo gli ispettori, i caseifici in questione avrebbero omesso di attivare il prescritto (dall’articolo 3 della legge n. 138/1974) registro di carico e scarico obbligatorio per gli utilizzatori di “latte in polvere, latte concentrato o altri latti conservati” e avrebbero poi illecitamente destinato quel “latte bufalino” a produzioni casearie (mozzarella di bufala non DOP) nonostante il veto al riguardo da parte della legge n. 138/1974.

Vane risultando le istanze di dissequestro delle aziende casearie colpite dal sequestro, le stesse si rivolsero, con esito vittorioso, al TAR Campania nell’aprile 2025 ottenendo il dissequestro come provvedimento di urgenza, dissequestro confermato poi nel giugno 2025 dal Consiglio di Stato cui si erano appellati a loro volta il ministero dell’Agricoltura e la direzione dell’ICQRF.

All’udienza del 7 ottobre 2025 il TAR della Campania decideva la controversia nel merito confermando le fondate ragioni giuridiche delle aziende interessate e ribadendo perciò la legittimità del loro operato in quanto – secondo il Giudice amministrativo – la normativa della legge n. 138/1974 innanzi tutto va ritenuta operante solo per il settore del latte vaccino.

Sempre che – ci si consenta di aggiungere – la suddetta legge sia ancora in vigore!

La motivazione del TAR Campania

Va in primo luogo sottolineato che, come vanamente evidenziato dai caseifici interessati fin dal primo atto di contestazione del sequestro del gennaio 2025, i giudici amministrativi hanno riconosciuto valida la tesi giuridica secondo cui il legislatore della legge n. 138/1974, impiegando il termine “latte” senza altra specificazione, non poteva che riferirsi al solo latte “vaccino” e pertanto solo a questo settore, e non anche a quello “bufalino”, erano e sarebbero applicabili le norme della suddetta legge.

Due gli argomenti normativi a sostegno di tale affermazione:

  • la nozione legale di “latte” alla data di emanazione della suddetta legge era invero quella fissata dal RDL n. 994/1929 (art. 15), normativa questa rimasta in vigore fino alla data del 26 marzo 2021 ovvero fino alla data di entrata in vigore del Decreto L.vo n. 27/2021 il cui articolo 18 procedeva all’abrogazione espressa del suddetto RDL n. 994/192 (nonché di altre vetuste normative).In pratica quella antica norma prescriveva l’obbligo di specificare la diversa razza mammifera quando il latte proveniva da una mammella diversa da quella di una “vacca” (quali: pecora, capra, bufala), dimodocché il termine “latte” da solo identificava solamente il “latte vaccino”;
  •  successivamente la stessa soluzione è stata adottata anche dal legislatore UE che sin dal 1968 (vedi il regolamento CEE n. 986/1968) con il termine “latte” ha identificato espressamente solo quello “vaccino” e ha prescritto, anche lui, una esplicita specificazione se invece il latte proviene da altra specie animale.

Impostazione, questa, ribadita poi sistematicamente nel corso dei decenni in altre norme comunitarie fino al vigente regolamento UE n. 1308/2013 (Allegato VII, Parte III, punto 4).

Disapplicazione della normativa nazionale

È dunque evidente che l’intervento del legislatore comunitario nella questione giuridica in esame sarebbe stato comunque risolutivo anche senza il conforto della nozione legale di “latte” risalente alla normativa del 1929 e ancora in vigore al momento dell’emanazione della legge n. 138/1974.

Ci saremmo trovati infatti comunque di fronte a un caso di “disapplicazione” della norma nazionale a favore della prevalente norma comunitaria: principio, questo della “disapplicazione”, ben illustrato ormai da decenni dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 9 marzo 1977, caso “Simmenthal”, sentenza quest’ultima peraltro testualmente richiamata in particolare da una delle sentenze del TAR Campania qui in esame.

Peraltro, il giudice amministrativo su questo punto della “disapplicazione” non si limita a impiegare questo meccanismo in relazione all’uso della categoria giuridico-merceologica di “latte” ovvero alla sua interpretazione come solo latte “vaccino”, ma lo estende anche al merito dei “trattamenti” che la legge n. 138/1974 esplicitamente intese evitare/limitare nella lavorazione casearia del “latte”.

Infatti, il TAR Campania pone in evidenza che il “trattamento di concentrazione del latte mediante evaporazione dell’acqua”, vietato dalla legge n. 138/1974, è invece un trattamento perfettamente compatibile con la normativa comunitaria di cui al regolamento UE n. 1308/2013, normativa che “consente tali pratiche a determinate condizioni di etichettatura e di informazione”.

E in termini ancora, se possibile, più espliciti il giudice amministrativo continua così asserendo:

“La norma nazionale, introducendo un divieto generalizzato e incondizionato, risulta incompatibile con il quadro normativo europeo e in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione, deve essere disapplicata”.

In pratica – conclude il giudice amministrativo – “… avendo la legge del 1974… una finalità eminentemente protezionistica, oggi non più ammissibile nel contesto del mercato unico. Né l’Amministrazione ha fornito alcuna prova di un rischio concreto per la salute pubblica derivante dall’utilizzo di latte concentrato e congelato, soprattutto se ottenuto con tecniche moderne che ne preservano le qualità, come quella descritta dalla ricorrente”.

L’illustrazione della parte in sentenza relativa alla “disapplicazione” della legge n. 138/1974 non può però esaurirsi senza un’ultima, quanto fondamentale, riflessione sulla portata di questo meccanismo (“la disapplicazione”) che solo parzialmente o, meglio ancora, solo impropriamente potrebbe reputarsi equiparato al similare meccanismo dell’“abrogazione tacita” di una vecchia norma a opera di una norma nuova e incompatibile con quella preesistente.

Infatti, se rispetto a una normativa del passato i due meccanismi (“abrogazione tacita” e “disapplicazione”) praticamente producono il medesimo effetto ovvero la non applicabilità della vecchia normativa; invece solo il meccanismo della “disapplicazione” – a differenza dell’“abrogazione tacita” – opera anche in proiezione futura ovvero anche rispetto a norme che sopravvengono rispetto a quella comunitaria che comunque prevarrà.

L’aver dunque fatto ricorso il TAR Campania all’istituto della “disapplicazione” pone pertanto le norme UE in tema di “latte” al riparo da eventuali iniziative contrastanti da parte del legislatore italiano.

Le considerazioni scientifiche ed economiche

Inoltre va pure evidenziato – per completezza del quadro scientifico e merceologico, oltre che giuridico, della travagliata vicenda in esame – che fin dal 1992 (vedi pubblicazione sulla rivista “Il Latte ”, Editore Tecniche Nuove, novembre 1992) l’Istituto di Industrie Agrarie dell’ Università degli Studi di Napoli, Federico II, rendeva noti i risultati di oltre dieci anni di studi e sperimentazioni per un trattamento di conservazione del latte di bufala che ne consentisse l’impiego nella produzione della “mozzarella di bufala” non DOP anche a distanza di mesi o di anni dalla mungitura.

Soluzione, questa, preziosa per ovviare al noto fenomeno (ancora perfettamente attuale peraltro) dello sfasamento tra il momento di maggiore disponibilità del latte bufalino (da ottobre a febbraio) e il momento di maggior domanda di “mozzarella di bufala” (in primavera-estate).

Orbene gli studiosi (prof. Francesco Addeo, prof. Chianese e altri) accertarono e dimostrarono che, adottando una tecnica di “congelamento rapido e poi di scongelamento rapido, non si registrava nessuna incidenza qualitativa sui valori organolettici e su quelli nutrizionali del prodotto finito”.

Stesse conclusioni ribadite più di recente con parere scientifico del febbraio 2008 in relazione del prof. Spagna Musso della stessa Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli Federico II, parere rinnovato e confermato nel più recente ottobre 2025.

A fronte di tale autorevole e ribadita verifica qualitativa del latte di bufala impiegato in produzione casearia anche dopo il trattamento di congelamento/scongelamento, risulterebbe pertanto ancora più irragionevole e immotivato il divieto di impiego in caseificazione del latte di bufala così conservato e con catastrofici risultati economici in primis proprio per il mondo degli allevatori di bufala.

Costoro infatti avrebbero la maggiore disponibilità di “latte bufalino “nel periodo (autunno/inverno) in cui però minore è la richiesta dei caseifici per la produzione di mozzarella, con il risultato di un suo deprezzamento ove quel latte non potesse essere conservato con la tecnica del congelamento erroneamente ritenuta illecita dagli ispettori dell’ICQRF.

Nel suddetto periodo autunno/inverno in pratica quel latte (secondo l’impostazione normativa dell’Ispettorato suddetto) potrebbe avere solo destinazioni commerciali molto meno remunerative (mangime per uso zootecnico, produzioni dolciarie e simili).

Dal TAR Campania lezione di “etica” per la Pubblica Amministrazione

Questo sintetico commento delle sentenze pronunciate dalla V Sezione del TAR Campania il 7 ottobre 2025 per (ormai) il “fantasma” della legge n. 138/1974 non può chiudersi però senza un cenno a una questione “etica”, oltre e prima ancora che giuridica, su cui l’estensore del TAR ha – opportunamente a nostro giudizio – ritenuto di doversi soffermare.

Ci riferiamo al tema della “violazione del principio del legittimo affidamento”, principio che l’estensore qualifica come “corollario dei principi di certezza del diritto e di buona amministrazione”.

Premesso infatti che – osserva l’estensore – “risulta pacifico (infatti è stato documentato da verbali di ispezioni eseguite dall’ICQRF negli stessi caseifici poi colpiti con il sequestro) che la prassi della concentrazione e congelamento del latte di bufala sia in uso da lungo tempo presso numerosi operatori del settore e che la stessa Amministrazione… non avesse mai sollevato contestazioni al riguardo. Tale prolungata inerzia, protrattasi per oltre un decennio, ha ingenerato negli operatori un ragionevole affidamento sulla liceità del proprio operato…”.

E scende, apprezzabilmente a nostro sommesso ma fermo convincimento, anche sul piano “etico” la sentenza in esame aggiungendo testualmente:

Il repentino e immotivato mutamento di indirizzo interpretativo, in assenza di nuove disposizioni normative o di una chiara motivazione fondata su un preminente interesse pubblico, lede il principio di buona fede e correttezza che deve informare i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione”.

Quindi il giudice estensore così sintetizza il caso in esame:

In conclusione, l’azione dell’Amministrazione si fonda su un presupposto giuridico palesemente erroneo, ossia l’applicabilità della L. n. 138/1974 al latte di bufala.

Tale legge, per ragioni testuali, storiche e sistematiche, si applica al solo latte vaccino. In ogni caso essa dovrebbe essere disapplicata per contrasto con la normativa e i principi fondamentali dell’Unione Europea. Infine, l’operato dell’Amministrazione viola il legittimo affidamento riposto dalla società ricorrente in una prassi consolidata e tollerata per anni”.

Lo “spreco” di risorse della Pubblica Amministrazione

E allora, in conclusione, ci si consenta una nostra finale censura per un aspetto che – in casi come questi ovvero nei casi di iniziative della Pubblica Amministrazione palesemente infondate – non sempre viene adeguatamente evidenziato.

Ci riferiamo allo “sperpero di risorse” pubbliche che gli organi della Pubblica Amministrazione, in questo caso gli Uffici dell’ICQRF, compiono quando intraprendono iniziative che si presentano – e per molteplici aspetti come appena evidenziato dalle sentenze del TAR Campania in esame – destituite di ogni fondamento giuridico (e non solo).

Infatti in questa vicenda le risorse istituzionali degli operatori ICQRF ovvero il loro tempo/lavoro che per settimane e mesi sono stati dedicati a controlli, ispezioni e sequestri palesemente e per molti versi privi di legittimazione, avrebbero ben potuto/dovuto essere indirizzati verso fenomeni di illegalità agro-alimentare e verso fattispecie giuridiche ben più attendibili che non quelli del caso in esame.

Ultime notizie

La Commissione Giustizia del Senato nella seduta del 26 novembre 2025 ha approvato all’ unanimità (!) il Disegno di Legge cd. “Lollobrigida” contenente una serie di disposizioni sanzionatorie per la tutela delle produzioni agroalimentari italiane, tra queste però anche una norma di “interpretazione autentica” (!?!) della legge n. 138/1974 qualificandola come riferita anche al settore del “latte bufalino” e non soltanto a quello del latte “vaccino”.

Con tutto il rispetto per l’istituzione parlamentare ci sembra però che in questo caso si tratta proprio di un “autentico”… errore: tanto alla luce di quanto ampiamente argomentato dalle sentenze del TAR Campania del 7 ottobre 2025 sopra commentate!

Un “autentico” errore sia sul piano del “campo di applicazione” della normativa di oltre mezzo secolo fa (campo limitato al solo “latte vaccino”) sia anche e soprattutto a fronte del principio della “disapplicazione” della norma nazionale a fronte della norma UE: principio peraltro non solo ribadito dal giudice nazionale, ma anche e prima ancora affermato dal giudice comunitario ovvero dalla Corte di Giustizia Europea.

Ecco, se “errare è umano”, “perseverare è diabolico” ci hanno da secoli ammonito i nostri antenati: ed è pure economicamente e socialmente dannoso, aggiungiamo noi.

Come anche il semplice buon senso, in casi come questo, dovrebbe facilmente suggerire.

A questo punto dobbiamo solo augurarci che il “buon senso” fiorisca nella mente della Commissione Giustizia della Camera cui ora spetta la prossima mossa.

Articolo in pubblicazione sul fascicolo di gennaio de Il latte, pag 50-53, 2026

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