“Non c’è, per nessuna comunità, investimento migliore del mettere latte dentro i bambini”, così diceva Winston Churchill in un discorso alla radio nel 1943. Come dargli torto, soprattutto quando si tratta di allattamento al seno? Nel mondo, meno della metà dei bambini di età inferiore ai 6 mesi viene allattato unicamente al seno, ancora meno in Paesi come la Cina nonostante lo scandalo della latte alla melammina e la conseguente carenza di alimenti per la prima infanzia. Il latte materno è sicuro dal punto di vita microbiologico, è bilanciato da un punto di vista nutrizionale, contiene sostanze biologicamente attive, è economico, specie-specifico, ha un’importante motivazione psico-affettiva. Numerosi sono gli effetti benefici che l’allattamento al seno svolge soprattutto nel ridurre la mortalità neonatale nei Paesi poveri. Inoltre, l’allattamento al seno sembra associato a una migliore performance neuro-comportamentale, un migliore sviluppo cognitivo, a un ridotto rischio di ospedalizzazione per le infezioni delle vie respiratorie, alla prevenzione dell’obesità. Più in generale, l’OMS e la ricerca scientifica riconoscono l’importanza del latte materno nel favorire una crescita ottimale del bambino sia a breve che a lungo termine. Non a caso, tra le “Nove cose da sapere sull’allattamento al seno”, vi è l’indicazione del latte materno come unico alimento di cui il neonato ha bisogno nei primi sei mesi di vita, e come necessario complemento alla dieta fino a due anni. In epoca post-femminista e post-rivoluzionaria, c’è pure chi, come proposto in Venezuela, intende obbligare per legge le madri ad allattare al seno, proibendo la prescrizione medica e la pubblicità di latte sostitutivo. O forse l’idea è veramente rivoluzionaria visto che, secondo studiosi dell’University College di Londra, chi è stato allattato al seno avrebbe maggiori possibilità di ascesa nella scala sociale.
Insomma, nessun vantaggio per le formulazioni sostitutive del latte materno? Se a breve termine i vantaggi dell’allattamento al seno sono indubitabili, quelli a lungo termine sembrerebbero più discutibili. Un recente studio ha addirittura evidenziato come molti parametri (capacità cognitiva e di relazione, incidenza obesità e malattie respiratorie ecc.) non siano significativamente diversi quando il confronto riguarda ragazzi (da 4 a 14 anni) diversamente allattati, ma cresciuti nelle medesime condizioni socio-economiche. In altri termini, la propensione all’allattamento al seno e la durata dello stesso (e quindi i conseguenti effetti benefici) sono positivamente collegati a fattori come il livello economico e culturale elevato, la possibilità di accesso alle cure mediche, la residenza in luoghi con basso impatto ambientale.
Un latte non per tutti, c’est-à-dire… un latte di classe.