La tesa situazione commerciale tra USA e Cina potrebbe avere effetti sul commercio globale di latte e derivati
Di Elena Consonni
Mentre è ancora aperta la questione dei dazi, in particolare quelli tra USA e Cina, la filiera del latte si interroga sull’impatto che essi potranno avere a livello globale. Questo tema è al centro del convegno “Le principali sfide del settore caseario mondiale: aspettative e prospettive dei player globale”, organizzato da Assolatte.
Il contesto: la ricerca di McKinsey & Company
In apertura dell’incontro, la presentazione di una ricerca realizzata da McKinsey & Company, focalizzata sull’impatto dei dazi sui modelli di scambio commerciale delle principali filiere lattiero-casearie: latte intero in polvere; derivati del latte (come il latte scremato in polvere) e burro; formaggi e derivati del siero.
Secondo l’indagine, l’influsso dei dazi tra Stati Uniti e Cina sulla prima filiera sarà piccolo, perché il volume scambiato è ridotto e la capacità produttiva esistente è in grado di assorbirlo. Gli Stati Uniti non sono un grande produttore di latte intero in polvere; UE e Nuova Zelanda dominano il mercato.
Anche nel caso della seconda filiera l’impatto previsto è limitato. Per quanto riguarda il latte scremato in polvere i volumi scambiati tra Stati Uniti e Cina è di circa 20.000 tonnellate, un quantitativo considerato facile da sostituire con produzione da altre origini. Si prevedono quindi piccole riorganizzazioni dei flussi, ma non una vera e propria crisi, perché l’eventuale ulteriore capacità produttiva globale si attesta sulle 300.000-400.000 tonnellate. Anche per il burro i volumi scambiati verso e da gli Stati Uniti sono bassi (circa l’1% della produzione globale) e quindi gli impatti di eventuali dazi non si faranno sentire.
La situazione si fa più complessa per la terza filiera, in particolare per il siero. Se, infatti, solo una piccola parte della produzione globale di formaggio potrebbe essere colpita dai dazi (13.000 tonnellate, pari al 3% dell’export USA), il volume degli scambi di siero tra Cina e USA sono decisamente superiori. Si tratta di 220.000 tonnellate di prodotto in polvere, un volume considerevole per gli Stati Uniti, pari a circa il 50% del loro export. Questo quantitativo dovrà trovare nuove destinazioni per non essere colpito dai dazi cinesi. Anche sulle proteine derivate dal siero l’impatto potrebbe essere significativo. Sebbene, infatti, il volume scambiato sia minore (circa 14.000 tonnellate) rappresenta circa il 35-40% dell’import cinese.
Occorre poi considerare il differenziale di prezzo tra il siero in Europa e negli Stati Uniti. Secondo gli analisti della McKinsey & Company, la situazione è simile a quella che si era verificata nel 2018 a carico della soia: i dazi cinesi sul prodotto statunitense crearono un ampio differenziale di prezzo (fino al 10%), spostando i flussi commerciali; la situazione si normalizzò una volta rimossi i dazi. È prevedibile che uno scenario simile possa ripetersi per il siero in polvere.
La logistica
Un altro elemento che potrebbe spostare gli equilibri è relativo alle spedizioni internazionali. Le interruzioni dei flussi tra Cina e Stati Uniti stanno creando disallineamenti nei trasporti a livello globale, come si era verificato nel periodo del Covid. Inoltre si sta discutendo di possibili imposte sulle navi costruite in Cina che attraccano nei porti statunitensi: sebbene al momento la proposta sia solo in discussione, l’entità della somma in gioco è considerevole e potrebbe scoraggiare le navi a fare scalo negli Stati Uniti. Questo, a sua volta, potrebbe portare a problemi di saturazione delle navi da trasporto e ostacolare il commercio. Potrebbero anche aumentare le tariffe sui container, anche se l’impatto iniziale potrebbe essere mitigato dal fatto che molte compagnie di trasporto europee utilizzano una percentuale limitata di navi costruite in Cina.
Paesi a confronto: dai prezzi del latte…
La situazione è estremamente fluida e cambia rapidamente, rendendo difficili le previsioni degli impatti sulla filiera. Su questo fronte si sono confrontati quattro relatori provenienti da altrettante importanti aree di produzione. Per l’Italia, Paolo Zanetti, presidente Assolatte e AD di Zanetti; per il Messico, Veronica Valencia, direttore vendite di Lactalis Messico; per gli Stati Uniti, Ralph Hoffmann, Chief Busines Officer di Schuman Cheese; per la Nuova Zelanda, Kane Harton, direttore dello sviluppo commerciale e del programma Dairy-Beef di Fonterra. Insieme a loro Marco Perocchi, responsabile Banca d’Impresa Crédit Agricole.
«In Italia – ha spiegato Paolo Zanetti – la situazione attuale è caratterizzata da prezzi del latte considerevolmente alti, attualmente intorno ai 60 centesimi, rispetto ai 30 centesimi del 2019. La produzione è aumentata a 13 miliardi di tonnellate dalla fine delle quote latte nel 2015 a oggi. L’Italia paga sempre un gap di prezzo rispetto all’Europa, ma vedo che, nonostante i prezzi remunerativi, le produzioni lattiere europee stentano a crescere. Questa situazione pone l’accento sul tema della competitività, sia del nostro Paese nei confronti del resto del continente, sia dell’Europa nello scenario mondiale. Politiche come il Green Deal, purtroppo, incentivano la riduzione della produzione di latte. Le analisi di mercato indicano che la domanda mondiale crescerà molto di più rispetto alla produzione».
La crescita dei prezzi non è un fenomeno solo europeo. «In Messico – ha raccontato Veronica Valencia – i prezzi del latte sono aumentati anno dopo anno, ma si sono stabilizzati nell’ultimo anno. Il prezzo locale è stabile, ma dipende molto da quello statunitense. La sfida principale è che l’aumento dei prezzi costringe ad aumentare i prezzi al dettaglio, il che ostacola i consumi in un paese con un’ampia fascia di popolazione a basso reddito. Importare o produrre in modo competitivo è difficile».
Dal Mesico, agli USA, dove la produzione di latte e formaggi sta crescendo. «L’incertezza sui dazi – sottolinea Ralph Hoffmann – danneggia la fiducia dei consumatori, che spendono meno. Questo vale anche per la ristorazione, portando a un aumento delle scorte di formaggio. Al momento non è ancora avvertito il pieno impatto dei dazi recenti, grazie alle esenzioni per i prodotti già in transito. Il vero colpo è atteso tra qualche settimana, peggiorerà l’economia statunitense e farà scendere ulteriormente i prezzi dei latticini. Confermano quanto descritto nella ricerca McKinsey, il prezzo del siero in relazione alla Cina non è ancora un problema, ma lo diventerà».
In Nuova Zelanda la situazione è molto simile all’Europa. «Nonostante i prezzi elevati – spiega Kane Harton – la produzione non sta crescendo, anzi si è ridotta negli ultimi 5 anni dopo 20 anni di crescita, a causa di regolamenti ambientali, inflazione, lavoro e profittabilità. Non ci si aspetta una crescita nei prossimi anni. La Nuova Zelanda è molto dipendente dall’export lattiero-caseario. Esportiamo il 95% della nostra produzione e rappresentiamo un terzo del commercio globale. Per questo i problemi a carico dei trasporti marittimi hanno un forte impatto sulla nostra economia. Al momento, invece, pur essendo Stati Uniti e Cina mercati importanti, l’impatto diretto dei dazi è stato limitato. Anche se guardiamo con interesse all’evoluzione degli scenari internazionali, siamo esportatori da oltre un secolo e la capacità di adattamento e di individuare nuove destinazioni alle nostre produzioni fa parte del nostro DNA».
… all’esportazione
Il tema delle esportazioni è cruciale anche in Italia. «Per la mia azienda – ha sottolineato Zanetti – rappresenta il 70% del fatturato. Mi occupo di export da 25 anni e i mercati che ho trovato più deludenti sono stati i BRICS, ad eccezione forse della Cina. Nonostante scenari internazionali difficili – penso alla chiusura del mercato russo o all’impossibilità di esportare in India per le barriere sanitarie – l’export italiano ha raggiunto livelli elevati, in Europa e soprattutto nell’Est Europa.
Io vedo il bicchiere “mezzo pieno”: le esportazioni sono sempre cresciute e abbiamo ancora enormi possibilità, guardando anche all’extra Europa. La parola chiave per me è la diversificazione per evitare eccessiva dipendenza da singoli clienti o Paesi. Il Made in Italy rappresenta per noi un vantaggio competitivo, il cliente è disposto a pagare un 20-30% in più per un prodotto italiano, ma non oltre. Quindi bisogna lavorare sulla competitività per non superare questa soglia».
In Messico le preoccupazioni riguardano il prezzo del latte. «Sia per il prodotto locale – afferma Valencia – che quello di importazione. L’aumento del dollaro rende le importazioni costose. Per far fronte a questa situazione stiamo adottando diverse strategie: innovare localmente la produzione di latte e formaggi freschi, come panela, oaxaca, importare da altri Paesi, principalmente dall’Europa, ed esportare in America Latina, utilizzando al meglio le nostre strutture e aumentando la produzione. L’augurio è che il settore continui a crescere, che si mantenga l’internazionalizzazione e la collaborazione per portare più prodotti come i formaggi europei, in Messico».
Anche per gli USA l’obiettivo è esportare maggiormente. «L’export – afferma Hoffmann – è aumentato significativamente negli ultimi anni. Le principali destinazioni del formaggio sono Messico, Giappone, Corea. Le esportazioni sono necessarie data la produzione in crescita, anche perché gli Stati Uniti hanno attualmente i latticini meno cari del mondo:burro e formaggio significativamente meno cari che in Europa e Oceania. Questo aiuta l’export ma non i produttori. A ostacolare l’espansione delle esportazioni sono i dazi reciproci e un potenziale sentimento anti-americano. Il consumo interno è stabile, con una debolezza nella domanda nella ristorazione e un aumento nel dettaglio. Il mio augurio è di tornare a pianificare le nostre attività senza doverci preoccupare di fattori esterni incontrollabili».
In Nuova Zelanda si guarda alle nuove opportunità di mercato. «La crescita della classe media in Asia porta a un aumento della domanda di prodotti di qualità e ad alto valore nutrizionale. Un’opportunità unica è l’apertura del mercato del Regno Unito; l’accordo con l’India è in corso, ma è difficile. Considerando che la produzione non cresce, aprire un nuovo mercato significa non fornirne un altro, per questo questa operazione ha senso solo se si riesce a raggiungere un valore maggiore. Non si compete sul prezzo. L’augurio è di navigare le attuali interruzioni mantenendo la profittabilità degli allevatori».
Strumenti a supporto della crescita
Ma come è possibile navigare in questi mari tempestosi? «Per quanto riguarda l’Italia – affermaMarco Perocchi – il settore lattiero-caseario italiano esprime la migliore capacità manifatturiera europea e una grande resilienza nel gestire le incertezze. A mio avviso per gestire l’attuale situazione la strategia migliore è di rafforzare la filiera e le radici in Italia, per poi guardare all’estero. Le aziende italiane, pur di dimensioni spesso non enormi, hanno dimostrato grande flessibilità. Questo successo è legato al capitalismo familiare: famiglie imprenditoriali che guidano le aziende con una visione di lungo periodo».
La banca si impegna a supportare questa transizione e gli investimenti di lungo termine. «È sconsigliabile – sottolinea – che le aziende si assumano rischi finanziari e valutari; il loro mestiere è produrre e vendere. Ci sono strumenti bancari per questo. Ci sono mercati che richiedono presenza locale (impianti, magazzini) per questione di vicinanza o per aggirare i dazi. La banca supporta questi investimenti anche finanziando localmente dove possibile, superando un gap del sistema bancario italiano meno internazionalizzato. Inoltre Crédit Agricole ha attivato un programma internazionale per i fornitori esteri, aiutando a mantenere la stabilità della catena di approvvigionamento anche in presenza di movimenti repentini».