Questione di “principio”

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Negli ultimi anni il settore alimentare ha cercato di capitalizzare la richiesta di prodotti con valenza salutistica. In questo trend si inserisce l’interesse per gli alimenti arricchiti con cannabidiolo, un metabolita della canapa (Cannabis sativa L.) che, a differenza del più noto tetraidrocannabinolo, non è psicotropo ma avrebbe invece effetti analgesici, ansiolitici e antinfiammatori. Anche se gli effetti a lungo termine e il potenziale “terapeutico” del cannabidiolo non sono stati ancora del tutto scientificamente indagati e provati, la richiesta per prodotti arricchiti con questo cannabinoide è in continua crescita. Forse anche perché per molti consumatori la distinzione tra canapa industriale, cannabis e cannabidiolo non è poi così chiara. Tanto da aspettarsi “stupefacenti” risultati (salutistici) dal consumo di alimenti contenenti cannabidiolo. A parte questo, secondo recenti indagini, negli USA il 40% dei consumatori vorrebbe (legalmente…) consumare prodotti contenenti cannabinoidi della canapa. Con un mercato mondiale del cannabidiolo (a uso alimentare e cosmetico) che varrà circa 2 miliardi di euro nel 2023, quadruplicando così il proprio valore in cinque anni.

Il settore dairy non è rimasto indifferente a questa richiesta di superfood. Crema per caffè, gelato e mozzarella arricchiti con cannabidiolo sono già una, seppur piccola, realtà negli Stati Uniti. Una tendenza di mercato che, peraltro, è stato prontamente intercettata anche dai prodotti “alternativi” al latte, soprattutto bevande.

Il tutto, però, in un contesto normativo per niente chiaro e omogeneo rispetto all’utilizzo della canapa e dei suoi derivati in ambito alimentare. In UE, per esempio, i semi di canapa e i loro derivati (olio, farine, semi decorticati) ottenuti da varietà autorizzate per la coltivazione sono alimenti tradizionali. Contrariamente agli estratti di Cannabis sativa L. e ai cannabinoidi considerati novel food e soggetti alla relativa normativa. Anche se a oggi la Commissione europea ha congelato tutte le richieste di applicazione in ambito alimentare degli estratti di canapa e dei cannabinoidi naturali inoltrate ai sensi della stessa regolamentazione.

Negli Stati Uniti la situazione è altrettanto confusa, pur in presenza del divieto espresso dalla FDA all’arricchimento degli alimenti con cannabidiolo. L’unica norma comune riguarda la definizione dei livelli massimi di tetraidrocannabinolo nelle varietà di canapa coltivabili e nei preparati di cannabidiolo.

Insomma, un contesto legislativo ancora carente. Alla cui evoluzione non giova un certo clima di diffidenza o pregiudizio, a volte politico, verso i cannabinoidi. Al punto che la discussione intorno al loro impiego, anche in ambito alimentare, non di rado diventa una vera e propria questione di principio (attivo).