Alla fine dello scorso mese di giugno, la Commissione europea ha notificato alle autorità italiane l’avvio del processo di messa sotto infrazione per non aver rispettato le disposizioni in materia di prelievo supplementare (quote latte). Arriva così al dunque una vicenda che si trascina da quasi venti anni e precisamente dal 1995, la quale ha provocato già tanti conflitti tra Italia e Unione europea e creato imbarazzi alla nostra rappresentanza politica a Bruxelles. Con la recente presa di posizione, la Commissione europea ha esortato l’Italia a porre rimedio alle carenze nelle azioni di recupero dei prelievi sulle eccedenze dovuti dai produttori lattiero-caseari che hanno superato le quote individuali negli anni passati.
Le autorità italiane, nonostante le ripetute richieste della Commissione, non hanno ancora adottato le opportune misure per recuperare i prelievi dovuti tra il 1995 e il 2009, che si stima corrispondano a un importo complessivo di almeno 1,42 miliardi di euro e che sono in gran parte ancora non riscossi. La Commissione ha sottolineato la necessità di rimborsare tale somma al bilancio dello Stato, per evitare che le conseguenze ricadano sui contribuenti italiani. Il mancato recupero di questi prelievi vanifica le azioni intraprese a livello europeo per stabilizzare il mercato dei prodotti lattiero-caseari, oltre a creare distorsioni della concorrenza con altri produttori europei e italiani che hanno rispettato le quote di produzione o pagato i prelievi sulle eccedenze in caso di superamento dei limiti.
La questione delle sanzioni non riscosse è ben nota in Italia e deriva dalle scelte di una minoranza di allevatori di ignorare volontariamente le regole europee e nazionali in materia di controllo fisico a livello individuale della produzione di latte. In pratica, tali produttori hanno prodotto in modo indiscriminato, superando nettamente la quota aziendale disponibile e hanno evitato di pagare le multe imputate a livello individuale da Agea, grazie a una sistematica azione di ricorso presso le sedi giurisdizionali competenti. Tenuto conto della lentezza cronica della macchina giudiziaria italiana, si è accumulato un ritardo intollerabile per gli standard europei. C’è inoltre un altro elemento da considerare. Una parte delle sanzioni contestate è del tutto esigibile, nel senso che non è bloccato da giudizi pendenti. Purtroppo, le competenti autorità amministrative nazionali non riescono a procedere a una regolare e tempestiva riscossione anche in questi casi che non dovrebbero procurare difficoltà di sorta.
Qui interviene, purtroppo, l’inerzia amministrativa, legata a un’azione politica che, di volta in volta, è stata poco efficace, disinteressata e, in alcuni casi, anche palesemente ostativa rispetto all’azione di recupero delle somme in ballo. Del resto, per la maggior parte delle aziende agricole interessate, le sanzioni sono esorbitanti e tali da risultare insostenibili e destabilizzanti. Ecco la ragione per la quale i politici di turno hanno sempre agito con cautela. Ora però, dopo la presa di posizione della Commissione, questo non sarà più possibile. Infatti, il ministro De Girolamo ha affermato: «Il problema sarà presto superato grazie alla recente modifica normativa introdotta nel 2012 che prevede il superamento di queste difficoltà, avendo disposto il coinvolgimento, oltre che di Agea, anche di Equitalia e della Guardia di Finanza. In ogni caso, risponderemo nei termini e attraverso i canali previsti dalla Commissione.
L’amministrazione – ha sottolineato il ministro – sta procedendo ai recuperi nei termini previsti dalla legge». Il regime delle quote latte è stato introdotto in Europa nel 1984 per affrontare il problema della sovrapproduzione cronica e il conseguente aumento dei costi di intervento. Il sistema prevede essenzialmente l’assegnazione agli Stati membri di quote di produzione nazionali, suddivise tra singoli produttori. Se uno Stato membro supera la propria quota, i singoli produttori sono tenuti a pagare un prelievo sulle eccedenze in caso di superamento della quota individuale. La Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora, concedendole un termine di due mesi entro il quale presentare eventuali osservazioni; dopo averle esaminate, potrà chiedere allo Stato italiano di intraprendere le misure necessarie per conformarsi al regime delle quote entro un determinato intervallo di tempo (“parere motivato”). Se lo Stato membro non provvede a conformarsi, la Commissione può decidere di adire la Corte di giustizia. Se la Corte accerta l’inadempimento con sentenza di condanna, lo Stato membro deve adottare le misure necessarie per conformarsi alla sentenza e potrebbe essere soggetto al pagamento di una penalità.