Una scadenza datata

1635

Negli ultimi 20-30 anni, il pagamento del latte in base alla qualità e le norme introdotte dalla dir. 92/46 e dal cosiddetto “Pacchetto igiene” hanno significativamente migliorato le caratteristiche compositive e, soprattutto, igienico-sanitarie del latte crudo. Basterebbe la sola analisi sommaria dei dati riguardanti il latte lombardo, dal 2000 a oggi. Cellule somatiche dimezzate (attualmente circa 250.000/mL) e carica batterica intorno a 30.000 ufc/mL, un quarto di quella a inizio secolo. Valori anche più bassi quando si considera il latte di massa in ingresso presso i grandi stabilimenti di trasformazione.

Al di là delle evidenti implicazioni in termini di sicurezza, tali miglioramenti hanno avuto anche importanti ricadute per le aziende produttrici di latte alimentare, in particolare di “latte fresco pastorizzato”. La bassa carica microbica e, soprattutto, in cellule somatiche del latte crudo di partenza hanno infatti ridotto di molto i fenomeni proteolitici in larga parte responsabili dell’invecchiamento del “latte fresco pastorizzato” durante la conservazione refrigerata. Anche non considerando le innovazioni tecnologiche intervenute nello stesso periodo, il “latte fresco pastorizzato” è quindi oggi caratterizzato da una durabilità intrinseca più elevata. Aspetto non secondario per questa tipologia di latte la cui data di scadenza fu fissata in 4+1 giorni dalla legge 169/1989 e negli attuali 6+1 giorni dal D.M. 24 luglio 2003 e dalla legge 204/2004. Una durabilità ex lege da molti ritenuta anacronistica, non più compatibile con l’attuale qualità del latte e con la necessità di ridurre lo spreco alimentare determinato dal prodotto reso perché scaduto o prossimo alla scadenza.

Un problema evidentemente risolvibile solo con la modifica del quadro normativo. Di recente, il regolamento n. 1169 (recepito dal D. Lgs. 231/17) ha abrogato la durabilità fissata dalla legge 169, ma non la categoria merceologica del “latte fresco pastorizzato” a cui ancora si riferisce la durabilità stabilita dalla legge 204. Legge le cui disposizioni non sembra siano state mai notificate alla Commissione UE quali norme speciali nazionali. Insomma, un pastrocchio normativo dal quale se ne esce prendendo atto dell’attuale qualità igienico-sanitaria della materia prima destinata a “latte fresco pastorizzato”. Magari non considerando la data di scadenza (ex lege) come strumento (improprio) di disciplina dell’utilizzo dell’aggettivazione “fresco”. Perché, di fatto, alcune tipologie di latte pastorizzato “Extended Shelf Life” presentano (da tempo) caratteristiche compositive completamente rientranti in quelle definite dalla legge 169 per il “latte fresco pastorizzato”.

Detto questo, per una volta tutti gli attori della filiera e la politica concordano sulla necessità di metter mano a una scadenza ormai “datata”. Resta solo da sperare che il “latte fresco pastorizzato” non rimanga di più nei banchi frigo solo perché i consumi sono ancora, e da troppo tempo, al palo.