Si è molto parlato della necessità di porre in atto strategie per contrastare la volatilità del prezzo del latte. Per questo, vale la pena osservare quanto fatto dalla South Australian Dairyfarmers Association (SADA), l’associazione australiana che raggruppa circa il 60% dei produttori di latte, con una produzione annuale di più di 500 milioni di litri. Circa due anni fa, l’associazione ha lanciato sul mercato una linea di latte alimentare fresco a proprio marchio (“SADA Fresh”) prodotto e confezionato in Australia, sotto licenza, da uno dei maggiori player lattieri del mondo. Anche se a oggi il latte “SADA Fresh” costituisce solo una piccola parte del latte venduto in Australia, pochi mesi dopo il suo lancio era già diventato uno dei brand più conosciuti e, soprattutto, il marchio identificativo del “latte australiano”, cioè percepito dal consumatore come un prodotto a valore aggiunto locale. Questo è il punto chiave del suo successo e, contestualizzandolo nella situazione italiana, anche il cardine sul quale il mondo agricolo e (buona parte) della politica del nostro Paese vorrebbero incentrare il rilancio del settore latte. Un dibattito che, tuttavia, non ha sinora sortito iniziative veramente innovative, piuttosto è rimasto limitato alla discussione sulla (migliore?) qualità del latte italiano rispetto a quello importato o sullo (stra)potere dell’industria con relativa invocazione dell’intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’Antitrust, per capirci).
La strategia della SADA, tuttavia, non si è esaurita nella creazione del marchio. L’aspetto più interessante, a mio parere, è stata invece la realizzazione di un fondo (“SA Dairy Industry Fund”) per finanziare, con parte dei proventi delle vendite del “SADA Fresh”, progetti capaci di garantire un futuro alla filiera latte australiana. Solo pochi mesi fa, si è chiuso il primo bando per il finanziamento di progetti capaci di portare valore aggiunto alla filiera mediante innovazioni in grado di garantire agli allevatori una migliore capacità di affrontare i cambiamenti del mercato globale e l’inevitabile volatilità del prezzo del latte.
Ovviamente la strategia di SADA non è trasferibile tout court, attualmente l’Italia non è l’Australia per tante ragioni, a iniziare dal mercato interno del latte alimentare. Eppure qualche spunto dall’esperienza SADA si potrebbe comunque trarre, almeno per riflettere sull’importanza delle Organizzazione di Produttori (le OP di cui tanto si parla) e sul loro ruolo (si spera attivo) nell’individuare strategie per fare fronte al mercato globale. Il messaggio che viene dall’Australia è chiaro: bisogna programmare e, soprattutto, osare. In questo senso, l’esperienza SADA rappresenta lo stereotipo di un modo diverso di affrontare le sfide del mercato. Soprattutto, è la dimostrazione di una presa di coscienza collettiva sul futuro del proprio latte che ha spinto i produttori verso atteggiamenti propositivi senza, come afferma il presidente del “SA Dairy Industry Fund”, sedersi ad aspettare ripetendo “Woe is us!” (“Poveri noi!”).