Gratta e convinci

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La comunicazione scientifica, così come può essere modernamente intesa, nasce alla fine del XVII secolo quando la Royal Society inglese iniziò a pubblicare “The Philosophical Transactions”. Due secoli dopo, la stampa cominciò a occuparsi di scienza in un primo tentativo di conciliare la comunicazione scientifica con la necessità di (in)formare un pubblico di non scienziati.

Sono passati secoli eppure, quando si tratta di alimenti, alimentazione e salute, lo spazio comunicativo dove far incontrare gli addetti ai lavori e il pubblico comune non è ancora chiaramente definito. Non sono ben identificabili anche le figure capaci di mediare e trasmettere efficacemente le informazioni tra le due realtà.

Tanto che, ancora oggi, un’evidenza scientifica può essere al contempo degna di attenzione o irrilevante in funzione del contesto in cui si colloca.

Un esempio viene da un recente lavoro scientifico (doi.org/10.3390/toxins14050306) in cui sono stati determinati i livelli di contaminazione da due micotossine (prodotte da muffe dei generi Penicillium e Aspergillus) in circa cento confezioni di formaggi a pasta dura grattugiati del commercio. Sostanze individuate in gran parte dei campioni analizzati, in piccole ma significative quantità. Livelli di per sé non pericolosi e conseguenti allo sviluppo di muffe sulla crosta dei formaggi da grattugiare. Problematica non nuova e, come affermato dagli stessi autori, prevenibile ed eliminabile con l’applicazione di corretti interventi di pulitura delle forme durante la stagionatura e prima delle operazioni di grattugia.

La conclusione dei ricercatori è comunque stata quella di “vigilare su tutto il comparto dei formaggi grattugiati”.

Questa l’informazione scientifica, quella veicolata da diversi media nei mesi scorsi. Con diverse considerazioni finali, visto che nello stesso periodo i produttori del più importante formaggio a pasta dura sponsorizzavano “lezioni” tenute da chef d’eccezione per “un pranzo rivoluzionario” che includeva anche un ragù a base di… croste. Magari utile in un’ottica di zero waste, ma in apparente contrasto con le risultanze del lavoro scientifico.

L’esempio, tra altri, evidenzia temi in parte ancora irrisolti. Quali sono le figure a cui demandare la gestione del rapporto tra informazione scientifica e comunicazione al consumatore? Quale è il ruolo degli attori delle filiere agroalimentari nel recepire e filtrare adeguatamente i risultati scientifici? E, soprattutto, quali mezzi utilizzare per divulgarli? Così accade che un’informazione scientifica venga recepita consapevolmente o non considerata.

Una discrasia interpretativa che, tra esperti, attori di filiera e consumatori piĂą o meno sul pezzo, ripropone la necessitĂ  di migliorare i rapporti comunicativi tra scienza, filiere e opinione pubblica.