I diritti di proprietà intellettuale (DPI) contribuiscono a garantire che gli innovatori e i creatori ottengano una remunerazione giusta per il loro lavoro, a incoraggiare gli investimenti nella ricerca e a generare crescita e opportunità occupazionali di qualità. Promuovono inoltre la salute e la sicurezza dei consumatori, poiché consentono loro di effettuare scelte informate sui prodotti che acquistano. L’UE ha riconosciuto la necessità di tutelare i consumatori e nel contempo di salvaguardare il patrimonio intellettuale, al fine di garantire che la creatività e l’innovazione continuino a essere i principali motori della crescita. In tale contesto, la valutazione di Europol sulla minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata e altre forme gravi di criminalità (SOCTA) ha individuato nella contraffazione delle merci e nella violazione della normativa in materia di salute e sicurezza un nuovo settore prioritario del ciclo politico dell’UE per il periodo 2014-2017. Tuttavia, nonostante il dilagare preoccupante del fenomeno della contraffazione, i suoi noti legami con la criminalità organizzata e il pregiudizio arrecato alle imprese e ai consumatori, non esiste ancora un quadro completo della sua dimensione criminale nell’UE. Per questo Europol, l’ufficio di polizia dell’UE, e UAMI, l’agenzia della proprietà intellettuale che sostiene la lotta alla contraffazione, attraverso l’Osservatorio europeo sulle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale hanno redatto la Relazione 2015 sullo stato attuale della contraffazione nell’UE, che rappresenta un primo tentativo di fotografare una realtà complessa e dinamica. La relazione si basa su prove quantitative e qualitative di casi-studio e pone in rilievo il fatto che la contraffazione è ormai considerata dai criminali un’attività a rischio minore rispetto al traffico di stupefacenti, pur generando ricavi più elevati. Si tratta di un’attività transnazionale redditizia e in crescita, nell’ambito della quale le reti della criminalità organizzata producono e distribuiscono su larga scala merci contraffatte, sfruttando i progressi della tecnologia e l’aumento delle attività di acquisto (e-shopping) e delle attività commerciali (e-commerce) online. La produzione di merci contraffatte è ritenuta in genere un fenomeno esterno. Infatti, le statistiche doganali indicano chiaramente che la maggior parte dei Paesi di origine delle merci contraffatte non appartiene all’UE. I principali Paesi coinvolti comprendono non solo la Cina, che resta una delle principali fonti nonostante il maggiore impegno mostrato verso la lotta alla contraffazione, ma anche altre nazioni asiatiche specializzate in determinati settori (per esempio, l’India nei farmaci, l’Egitto nei prodotti alimentari e la Turchia in profumi e cosmetici). I punti di transito per il trasporto di merci dall’Asia all’Europa, che fungono da principali centri per il traffico di container a motivo delle loro grandi zone di libero scambio, sono diventati anche importanti terreni fertili per le attività dei contraffattori. Le zone di libero scambio vengono sempre più spesso utilizzate come luoghi per cambiare, documentare e ri-etichettare i carichi dei container, non solo allo scopo di occultare il luogo di provenienza dei prodotti, ma anche per completare il processo di produzione con l’aggiunta di marchi o imballaggi. I contraffattori sono considerati i principali sfruttatori di questa infrastruttura mondiale, che consta di 3.000 zone franche dislocate in 135 Paesi, fra cui 82 nell’Unione europea. Alla luce di tale scenario, la prevista crescita della zona franca di Tangeri Med, in Marocco, a soli 15 km dall’UE, potrebbe offrire alle reti della criminalità ulteriori opportunità per esportare più ingenti quantitativi di merci contraffatte verso l’UE. Tuttavia, alcuni dati sembrano indicare l’emergere di un nuovo modello, che sposta la produzione di merci contraffatte all’interno dell’UE quale opzione migliore e conveniente in termini di costi, con minori rischi di intercettazione da parte delle autorità doganali e costi di trasporto inferiori. La relazione riporta gli esempi di gruppi della criminalità organizzata, soprattutto provenienti da Stati membri dell’UE, che hanno unito le forze per istituire siti per la produzione di merci contraffatte sul territorio dell’UE. La produzione su larga scala di merci contraffatte, come quelle individuate nei casi-studio, implica l’esistenza di reti dotate di risorse adeguate e ben organizzate. Queste reti hanno legami con altre forme di criminalità come la frode, la falsificazione di documenti, l’evasione fiscale e la tratta di esseri umani (soprattutto per lo sfruttamento del lavoro), nonché con gruppi della criminalità, come le organizzazioni di stampo mafioso. In cambio, i profitti generati dalla contraffazione sono utilizzati anche per finanziare altre attività criminali. La produzione e la distribuzione di merci contraffatte appaiono puramente opportunistiche e, come tali, non possono essere attribuite a un particolare gruppo della criminalità o a una determinata nazionalità. Il modus operandi e le rotte seguite sono adattati in funzione delle merci e delle attività delle forze dell’ordine, a dimostrazione che i contraffattori sono a conoscenza delle mosse di queste ultime. Numerosi casi-studio contenuti nella relazione rivelano un aspetto interessante e cioè che le reti della criminalità organizzata provenienti da Paesi diversi, sia interni sia esterni all’UE, stanno sviluppando legami più stretti, consci delle possibili sinergie derivanti dalla cooperazione. Come per le imprese legittime, la distribuzione è una questione fondamentale per le operazioni dei contraffattori, che usano e sfruttano le falle presenti nelle infrastrutture e nelle catene di approvvigionamento per coprire le proprie tracce e rendere più difficile l’intercettazione. Le tattiche utilizzate comprendono la corruzione degli intermediari tra produttori e distributori, che possono ottenere maggiori guadagni con le merci contraffatte, e l’incoraggiamento a produrre in eccesso, favorito dalla mancanza di controlli nelle fabbriche. A ciò si aggiungano la falsificazione dei documenti, la ri-etichettatura dei marchi contraffatti, il re-imballaggio dei prodotti e l’abuso di etichette di certificazione, come la denominazione di “biologico”. Non c’è da stupirsi se internet svolga il ruolo più determinante per la distribuzione di merci contraffatte, vista la possibilità di restare anonimi, la sua capacità di operare in varie giurisdizioni e il suo potenziale di presentare riproduzioni sofisticate di negozi ufficiali online. In particolare, l’introduzione da parte dell’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) del cosiddetto nuovo “dominio di primo livello generico”, come .sport, .fashion, .movie, .market, ecc. può servire maggiormente a confondere i consumatori che effettuano acquisti online, dal momento che sarà più facile ingannarli vendendo merci contraffatte. I siti web contraffatti sembrano beneficiare non solo dei ricavi ottenuti con le vendite, ma anche in certa misura degli introiti pubblicitari in base alla loro popolarità. Per questo motivo, le best practices, che si sono dimostrate efficaci nel minare la redditività commerciale dei siti illeciti (si pensi al principio “segui il denaro”) e nel colpire gli introiti pubblicitari e gli intermediari di pagamento, potrebbero essere utili anche per le attività di vendita in rete di merci contraffatte. Nel contesto attuale, i principali rivenditori online e le piattaforme dei media sociali sono costretti a destinare maggiori risorse al monitoraggio dell’attività di contraffazione. La relazione mette in evidenza i punti d’entrata dove gli operatori privati e le autorità di contrasto potrebbero sfruttare i loro interventi in modo più efficace per affrontare questo settore della criminalità fondato sul principio “basso rischio/alto profitto”. Inoltre, individua la necessità di risposte globali più innovative e complete da parte di soggetti pubblici e privati, che tengano conto sia della domanda che dell’offerta di questo commercio illecito. Ciò significa sviluppare una strategia globale e proattiva, tesa a una maggiore sensibilizzazione al fenomeno, e fornire alle forze dell’ordine le conoscenze e gli strumenti necessari per lavorare insieme e adottare misure correttive efficaci. Secondo i dati, viene contraffatta una gamma sempre crescente di prodotti di uso quotidiano: da batterie, caricabatterie, cosmetici e prodotti per l’igiene personale a prodotti elettronici, prodotti per la casa, pesticidi, prodotti alimentari e bevande, e persino i medicinali. Tuttavia, la portata e le dimensioni esatte delle attività di contraffazione non sono note ed è probabilmente lecito supporre che la realtà superi tutte le stime e le proiezioni.