Il peggio non è (il) passato

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Dopo due anni di pandemia pensavamo di aver visto e vissuto il peggio. La guerra in Ucraina e la crisi umanitaria che ha determinato ci dicono il contrario. Di fronte alle sofferenze causate da un virus o dalle armi non resterebbe che affidarsi alla ragione. Che ci ha permesso di affrontare e contrastare un nemico invisibile e inatteso, ma non ci ha consentito di fare fronte a problemi geopolitici tutt’altro che invisibili e inattesi.

Oggi nel bel mezzo di una nuova e drammatica emergenza è difficile, forse inopportuno, parlare degli impatti sull’economia di questa crisi. Ma la storia ci insegna che emergenze come questa purtroppo incidono sulle persone anche indirettamente, in altri luoghi e per molto tempo. In questo caso, mettendo a rischio i sistemi agricoli e la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e alimentari.

A questa regola non sfugge la filiera latte, anche se globalmente le implicazioni di questo conflitto su quantità di latte prodotto e consumi sono difficili da ipotizzare. Soprattutto in un contesto di rallentamento economico, sanzioni e inflazione. Di certo saranno solo in minima parte collegabili all’import/export di prodotti lattiero-caseari in Russia e Ucraina. Al contrario, nell’immediato il conflitto ha avuto l’effetto di aumentare ulteriormente i costi di produzione che, quasi sicuramente, porteranno a un aumento dei prezzi al consumo dei prodotti lattiero-caseari.

Per la filiera nazionale le implicazioni sembrano anche peggiori. L’attuale prezzo del latte alla stalla non appare più in grado di coprire i costi di produzione, soprattutto quelli energetici e dell’alimentazione animale aggravati dalla crisi russo-ucraina. A questa come ad altre precedenti crisi si risponde con tavoli tecnici e manifestazioni di protesta. O con la proposta di destinare il latte ai digestori. Intenzione di certo provocatoria, ma in linea con il convincimento (atavico per il mondo del latte italiano) che solo attraverso una protesta di grande impatto mediatico, sia possibile risolvere problemi e istanze. Proposte e iniziative che, in un momento di crisi, acuiscono anche le critiche della filiera a Pnrr e Pac. Incentrati su ecoschemi che non valorizzano il ruolo centrale, per produzione e reddito, delle filiere intensive.

È chiaro che la sfida posta da questo nuovo e drammatico scenario alla filiera latte italiana non può che essere affrontata con strategie di sistema, a lungo termine e soprattutto coordinate. Se le emergenze mettono a dura prova la capacità di resilienza, dopo quanto accaduto non è certo che tutti gli attori di filiera saranno in grado di uscirne rinforzati e trasformati in meglio. Forse, per una volta, la politica potrà svolgere un ruolo concreto nel dare loro riposte durature e di comune interesse cercando in primo luogo di risolvere crisi internazionali. Perché, banalmente, questo chiede l’economia, ma soprattutto la gente.