La “sintesi” tra scienza e politica

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Il progredire delle conoscenze e lo sviluppo di nuove tecnologie hanno a volte sollevato perplessità se non critiche nei confronti della scienza. Soprattutto, quando questa evoluzione (evidentemente non per tutti un progresso) ha interessato gli alimenti e l’alimentazione. Eppure, i temi del cambiamento climatico, della nutrizione e della sicurezza alimentare coinvolgono profondamente la scienza. Sarebbe sufficiente pensare alle risposte che è necessario dare alla rapida crescita della popolazione mondiale e al soddisfacimento di bisogni alimentari e nutrizionali sempre più diversificati. Non esclusi quelli motivati da scelte ambientali ed etiche orientate verso filiere non intensive e al benessere animale. Il tema della cosiddetta “zootecnia cellulare”, ossia l’utilizzo di colture cellulari o microbiche per ottenere latte e le sue proteine, rappresenta un chiaro esempio di come sia difficile trovare un (giusto) punto di convergenza o mediazione tra scienza, tecnologia e convivenza con filiere agroalimentari convenzionali. Difficile anche perché l’implementazione di nuove conoscenze e tecnologie spetta alla politica e non agli scienziati. Difficile trovare (non da adesso) qualche politico che si “fidi” in toto della scienza. La pandemia da Covid ha chiaramente evidenziato questa diffidenza, a volte più supportata da convenienze elettorali che non da vere perplessità scientifiche. Nel nostro Paese l’opposizione politica (più o meno bipartisan) verso latte e carne cosiddetti “sintetici” è apparsa in tutta la sua evidenza, “sintetizzabile” come un problema e un pericolo gravissimi. Nonostante quasi tutte le più grandi aziende alimentari mondiali, anche con core business nel settore latte, abbiano investito economicamente e scientificamente in queste nuove tecnologie.

Sottovalutarle o disconoscerle a priori sarebbe però un grave errore. Un po’ come fatto per i prodotti a base vegetale, nati sulla base delle stesse motivazioni nutrizionali e ambientali che hanno favorito la nascita della zootecnia cellulare, e oggi nel paniere di molte industrie lattiero-casearie, anche italiane. Certo il percorso verso la produzione su scala industriale di latte e sue proteine sintetici non è solo un problema politico. Esistono ancora problematiche di costo e soprattutto di quadro normativo. Di certo c’è che nel prossimo futuro la scelta di filiere “senza animali” non sarà solo un’opzione tecnico-scientifica, ma un atto politico.

Non è semplice comprendere in quali termini e in che misura la scienza dovrebbe essere la base per delineare strategie a lungo termine in campo alimentare (e non). Forse, la politica non facilita queste decisioni. Ma il progredire delle conoscenze scientifiche e lo sviluppo di nuove tecnologie rappresentano un processo irreversibile. Al quale la politica non potrà opporsi a prescindere o contrapponendo solo il tema della difesa delle filiere “tradizionali”. Non solo in Italia.