Km zero, puro protezionismo?

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Per i fan si tratta di risparmiare denaro a tutto beneficio della qualità alimentare e dell’ambiente. Per i detrattori di puro protezionismo senza coerenza. Come conciliare infatti la promozione dei formaggi a km zero con quella dei Dop nel mondo?

Consumo di prodotti alimentari locali. Questo è il significato dei prodotti a km zero. Sono sempre di più i siti, i portali, le associazioni di consumatori e di produttori che spingono per questo tipo di consumo. A volte si tratta degli stessi che enfatizzano il consumo degli alimenti tipici italiani, come i formaggi DOP, da salvaguardare non solo nel nostro Paese ma anche all’estero, dove sempre più spesso vengono penalizzati dai prodotti Italian sound.

Nasce quindi il problema o la contraddizione di come fare a conciliare il fenomeno dei prodotti a km zero con l’esigenza di far conoscere e quindi portare i formaggi DOP e più in generale il made in Italy alimentare nel mondo. Di questo abbiamo cercato di occuparci nell’inchiesta di questo mese, chiedendo un parere a Consorzi di tutela di formaggi DOP molto esportati e imitati, allo staff di un portale che si occupa di far conoscere ai consumatori dove trovare prodotti a km zero e i mercati a filiera corta, a una delle prime associazioni a spingere il km zero e a un formaggiaio di lunga data, come ama definirsi. Ma intanto cerchiamo di capire i pro e i contro di un fenomeno, che, se anche limitato nei numeri, si sta facendo strada.

Perché preferire il km zero?

Secondo i fautori del km zero sono molte le ragioni per preferire i prodotti locali. Intanto il costo. È un dato di fatto che la merce a km zero per arrivare al consumatore non deve essere trasportata, imballata e venduta tramite intermediari, piccoli o grandi che siano. Scegliendo i formaggi a km zero si fa risparmiare anche l’ambiente, attraverso il minor consumo di CO2, perché i prodotti non devono essere trasportati lontano, di acqua ed energia per i processi di lavaggio e confezionamento, di materie per l’’imballaggio. Inoltre il consumatore ha la possibilità di visitare il caseificio e avere più controllo sul prodotto.

Infine, ma non meno importante si dà un contributo per sostenere i produttori locali e il territorio. Pur non registrando ancora grandi numeri il fenomeno sta vivendo di una certa notorietà. La Provincia di Parma ha presentato la guida “Spesa a km zero? In provincia si può” sulla quale è possibile acquistare frutta, carne, formaggi da circa 100 aziende sparse su tutto il territorio parmense. L’intento dichiarato è di favorire la genuinità dei prodotti locali risparmiando soldi, sfruttando il principio della filiera corta.

A supporto anche il sito www.agri.parma.it con l’elenco delle aziende che vendono direttamente ai privati. Per le aziende produttrici è possibile anche entrare a far parte di diversi portali dedicati, dopo una valutazione da parte di un’apposita commissione in base al rispetto di una serie di criteri, tra cui la sostenibilità ecologica delle produzioni, il divieto di OGM, la provenienza locale (preferibilmente inferiore ai 50 km dalla propria sede), l’alimentazione naturale, l’uso di fertilizzanti e fitosanitari nel rispetto delle regole dell’agricoltura organica, biologica o integrata e così via.

[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=’Due partite differenti e fondamentali per il settore’]
Giorgio Apostoli, responsabile Allevamenti di Coldiretti

Il fenomeno dei prodotti a km zero e dei formaggi DOP e in generale del Made in Italy alimentare non si escludono. Al contrario si completano. In Italia e nei nostri territori dobbiamo guardarci dalle massicce importazioni di prodotti caseari provenienti oramai da ogni parte del mondo. Basti pensare all’imponente import di cagliate per produrre le mozzarelle di latte bovino poi vendute come italiane o ai prodotti similari ai nostri grana Dop. Il sostegno ai formaggi km zero, quindi, risulta importante sia sotto questo aspetto, sia nella logica della difesa di una filiera sempre più corta e agricola, dal momento che questi alimenti, per valori sociali, culturali, ambientali, si sposano bene con l’essere prodotti dall’allevatore o da sue cooperative e quindi garantiscono una maggior difesa dei ricavi dell’impresa agricola.

Parallelamente deve proseguire la valorizzazione dei nostri più rinomati formaggi all’estero, nel segno dell’italianità (fatto in Italia) e della qualità che ci viene universalmente riconosciuta al punto da doverla difendere dalle imitazioni che fanno sì che i consumatori esteri credano di acquistare un prodotto “originale”, mentre mettono in tavola preparazioni casearie che non hanno nulla a che vedere con il nostro latte, i nostri territori, la nostra tradizione casearia. Non è cinismo o doppiogiochismo, quindi, ma sana opportunità di giocare due partite differenti e fondamentali per il settore.

[/box] [box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=’Bene il km zero, ma i big devono essere esportati’]
Stefano Berni, direttore generale del Consorzio Tutela Grana Padano

I due fenomeni, ovvero quello dei formaggi a km zero e dei DOP, sono diversi fra loro.

Ci sono formaggi locali dove l’enfasi di km zero ha senso e anche per i grandi formaggi prodotti sul territorio può essere positivo il consumo in loco.

Naturalmente per le grandi esportazioni dei big DOP, come il Grana Padano, il km zero va visto in modo diverso perché questi formaggi devono viaggiare per tutto il mondo.

 

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