Colture starter: uno sguardo al passato con un occhio al futuro

9260

Immagine

Le colture starter guidano i processi fermentativi, contribuendo allo sviluppo delle caratteristiche sensoriali e all’incremento della sicurezza dei prodotti. A fianco del tradizionale uso di colture “naturali”, l’applicazione di starter selezionati “specializzati” è in espansione, anche grazie alla continua ricerca di nuovi ceppi e formulazioni microbiche, funzionali all’esigenza di standardizzazione e diversificazione di prodotti e processi.

Nel settore caseario gli starter sono ampiamente utilizzati per produrre una vasta gamma di prodotti, inclusi formaggi, panne e latti fermentati, con lo scopo primario di produrre acido lattico dal lattosio, abbassando rapidamente il valore del pH. Nei formaggi, la diminuzione del pH facilita l’azione del caglio e favorisce la sineresi, contribuendo allo spurgo del siero dalla cagliata. Altre fondamentali funzioni dello starter sono la capacità di inibire microflore dannose o patogene, in virtù proprio dell’abbassamento del pH ma anche per competizione per il substrato o per sintesi di sostanze antimicrobiche(diacetile, batteriocine), e il miglioramento delle caratteristiche sensoriali e delle proprietà salutistiche del prodotto. Questi ultimi effetti sono il risultato dei complessi metabolismi che accompagnano lo sviluppo microbico, fra cui sono da annoverare la fermentazione del citrato, i processi proteolitici e le successive biotrasformazioni degli amminoacidi. Un complesso quindi di azioni utili, a volte indispensabili, cui si sono di recente aggiunte ulteriori proprietà, come la capacità di produrre sostanze di interesse nutraceutico, che hanno stimolato l’industria degli starter alla ricerca di nuovi ceppi e/o associazioni microbiche, anche non lattiche, in formulazioni commerciali sempre più specializzate e all’introduzione delle colture “complementari” o “accessorie”.

Tipi di colture starter: un breve ripasso

Le colture starter possono essere classificate in base alla loro funzione, alla temperatura di crescita e alla composizione microbica. Il criterio più diffuso è quello della temperatura di incubazione e dei cicli termici delle tecnologie in cui sono applicate. Le colture mesofile sviluppano e producono acido lattico a un optimum di temperatura di circa 30°C, potendo però raggiungere valori estremi di crescita anche a 38-40°C. Le specie più utilizzate nelle colture mesofile sono Lactococcus lactis subsp. lactis, L. lactis subsp. lactis biovar. diacetylactis, L. lactis subsp. cremoris, Leuconostoc mesenteroides subsp. cremoris e Leuc. lactis. In base alla capacità di fermentare il citrato, le colture mesofile possono essere ulteriormente raggruppate in: citrato-negative, che contengono solo gli acido-produttori L. lactis subsp. lactis e subsp. cremoris; citrato-positive che, oltre agli acido-produttori, contengono Leuc. mesenteroides subsp. cremoris e/o L. lactis subsp. lactis biovar diacetylactis. Le colture termofile hanno un optimum di circa 42°C e contengono principalmente Streptococcus thermophilus, con o senza presenza di lattobacilli (es. Lactobacillus delbrueckii e Lactobacillus helveticus). In alcuni tipi di formaggio possono essere usate colture miste mesofile e termofile. Allo stato attuale, la classificazione più comune degli starter è basata sulla complessità della coltura (composizione, ecologia, proprietà) e sulle modalità di preparazione.

Le colture “indefinite”

Figura 1 – Immagine al microscopio elettronico di cagliata contenente lattobacilli termofili da sieroinnesto naturale
Figura 1 – Immagine al
microscopio elettronico di cagliata
contenente lattobacilli termofili da sieroinnesto naturale

Sono colture riprodotte in caseificio in condizioni di non rigorosa asepsi la cui composizione in specie e ceppi non è esattamente definita, in quanto intimamente legata a quella della materia prima e alle modalità di preparazione. Il miglioramento della qualità del latte e delle tecniche di preparazione di questi fermenti (oggi sempre più spesso forniti direttamente dal produttore di starter) garantiscono, rispetto al passato, performance tecnologiche molto più riproducibili. Nella prassi corrente queste colture sono ancora definite “artigianali” o “naturali”, con un accento sulle modalità di preparazione, che si richiamano alla tradizione casearia. In sintesi, il tratto comune che lega questi tipi di starter è rappresentato dalle pratiche di preparazione, partendo da una porzione della coltura della lavorazione precedente. Il diverso substrato di crescita(latte o siero di fine caseificazione), la sua composizione microbica (a sua volta legata a quella del latte di provenienza), temperatura/tempi di incubazione e acidità finale raggiunta sono i fattori che selezionano le microflore ritrovabili in queste colture. Le due tipologie più note di colture indefinite sono i lattoinnesti e i sieroinnesti, questi ultimi ancora estesamente applicati in tecnologie a pasta dura e cotta (Grana, Parmigiano, Provolone) e nella produzione di Mozzarella di Bufala Campana. Due importanti sottocategorie di sieroinnesti sono gli “scotta fermenti”, prodotti per incubazione della scotta risultante dalla produzione di ricotta da siero di Pecorino e utilizzati per la produzione di formaggio di tipo Pecorino, e i sieroinnesti con caglio, ottenuti macerando abomasi di vitello in siero caldo ed utilizzati per la produzione di formaggi di tipo svizzero (Emmentaler, Gruyere, Sbrinz). A seconda delle modalità di preparazione, specialmente dei tempi e temperature di incubazione, le microflore lattiche dominanti appartengono alle specie S. thermophilus, L. helveticus, L. delbrueckii subsp. bulgaricus e subsp. lactis (lattoinnesti e sieroinnesti termofili), ma anche a lattococchi ed enterococchi (sieroinnesti mesofili).

Figura 2 – Immagine al microscopio elettronico di starter di lattobacilli produttori di esopolisaccaridi, simili a filamenti posti sulla parete cellulare
Figura 2 – Immagine
al microscopio
elettronico di starter di
lattobacilli produttori
di esopolisaccaridi,
simili a filamenti posti
sulla parete cellulare

La qualità fluttuante della materia prima e le modalità di preparazione spiegano l’alternarsi(anche giornaliero) di differenti ceppi all’interno di una medesima specie. Come descritto nel focus di marzo, tale diversità non conferisce a queste colture la completa immunità da attacco fagico (Giraffa, 2014b). Motivi di praticità, economicità e, soprattutto, esigenze legate al rispetto della tradizione e al vincolo dell’origine geografica dei formaggi DOP ne giustificano ancora oggi l’utilizzo. Per ovviare almeno in parte alla variabilità nelle performance delle colture “naturali” molte aziende oggi ricorrono alle colture miste selezionate, che sono conservate, controllate e riprodotte come colture stock presso industrie specializzate e distribuite sotto varie forme ai caseifici, presso i quali subiscono le ultime fasi della riproduzione, generalmente in condizioni asettiche, utilizzando substrati a base di latte o siero. Nel caso di molti DOP, spesso il produttore di fermenti cura anche le fasi “a monte” di isolamento e caratterizzazione dei ceppi autoctoni dalle colture aziendali, i quali costituiranno la base microbiologica delle colture miste ivi riprodotte.

Starter a composizione definita
Gli starter a composizione definita consentono un miglior controllo e riproducibilità delle proprietà della coltura. In genere contengono 2-4 ceppi (raramente un ceppo), in rapporti noti e definiti, di una o più specie di batteri lattici mesofili o termofili. La conoscenza delle proprietà-chiave di ogni ceppo (cinetica di sviluppo, capacità e attività acidificante in vari substrati e a diverse temperature/cicli termici, attività biochimiche, resistenza fagica…) permette di associarli razionalmente in miscela, al fine di formulare colture con un desiderato ventaglio di proprietà.