Si è costituito il 30 luglio 1975 con il nome di “Consorzio per la tutela del Provolone tipico italiano” e da allora il Consorzio di prove e difficoltà ne ha superate parecchie. A iniziare dal cambiamento del nome del formaggio (successivamente esteso anche al consorzio, divenuto nel 2002 Consorzio Tutela Provolone Valpadana) avvenuto nel 1993: la denominazione provolone tipico decade sostituita da Provolone Valpadana tutelato dalla Dop. Nel 1993, infatti, è stata definita la zona e lo standard tecnologico di produzione. Nel 1976 i soci erano 31 e negli anni ’80 del secolo scorso hanno raggiunto l’apice di 60 per poi inesorabilmente calare nel decennio successivo sino a stabilizzarsi dal 2009 agli attuali 11. E ciò per differenti ragioni: alcuni soci hanno chiuso o ceduto l’attività, altri hanno deciso di puntare su altri prodotti. Eppure le quantità di prodotto si sono mantenute costanti, anche se il rapporto tra prodotto a Dop e generico si è ribaltato come mostrato in figura: se nel 2014 circa 500mila quintali di latte sono stati trasformati in Provolone Valpadana, oltre 2.300mila quintali sono stati invece caseificati in provolone. Però i volumi di provolone tengono rispetto al mercato dei formaggi, nonostante il calo di famiglie acquirenti, a differenza dei dati a valore in leggera contrazione. Secondo il consorzio, inoltre, il 2014 ha visto un aumento dell’importanza del “peso variabile take away” che supera il 26% del totale a volume ma un’eguale tendenza al rialzo si è verificata anche nel peso fisso. Nel corso del tempo si è evoluta anche la definizione di questa pasta filata: oltre alla già citata modifica del 1993, nel 2003 il disciplinare ha aperto alla pastorizzazione per la tipologia dolce e alla termizzazione per quella piccante, trattamenti definiti meglio nell’ultima revisione del disciplinare, che risale al 2012, in cui si specifica che il latte crudo debba essere lavorato entro 60 ore dalla mungitura. «Essendo uno dei formaggi più difficile da produrre – ha dichiarato Libero Stradiotti, presidente del Consorzio, durante la celebrazione del quarantennale – è stato oggetto di intensa ricerca che ha portato a miglioramenti di cui le aziende hanno fatto tesoro come il progressivo abbandono dell’utilizzo di additivi conservanti (E239) e di trattamenti della superficie. Anche questo ha contribuito a innalzare la qualità soprattutto della tipologia dolce». Eppure un rammarico rimane: il mancato riconoscimento da parte dei consumatori del valore aggiunto che meriterebbe l’indicazione geografica protetta Provolone Valpadana. Per questo secondo il presidente occorre «cercare di rimettersi in gioco, magari iniziando proprio dal nome di questo formaggio e dalla sua protezione a livello nazionale e internazionale e considerando, insieme a tutti gli associati, quanto questa nostra realtà possa essere utile e necessaria». Nel frattempo però per valorizzare il Provolone Valpadana presso i consumatori, il consorzio ha intrapreso molte e originali iniziative. È il caso, solo per citarne alcuni, dei temporary store aperti in grandi città italiane, della collaborazione con la ristorazione premium sfociata per esempio nella creazione di una golosa pizza, di eventi con star chef sino a “Provololillipop”, snack irriverente e giocoso che ha animato il Fuori Salone di Milano.
E un aiuto verrà anche dalla regione lombarda: intervenuto all’evento, l’assessore all’agricoltura, Giovanni Fava, ha affermato che cercherà «di privilegiare prioritariamente nelle misure del Programma di Sviluppo Rurale i consorzi che possono contare sul riconoscimento ministeriale; in particolare, quelle azioni per sostenerne la distintività del prodotto e le operazioni finalizzate a diffonderne la conoscenza e l’export».