Penso che la formazione scolastica debba mettere a disposizione dello studente le informazioni necessarie sulle quali costruire un percorso di esperienza e di apprendimento. L’università è in grado di fornire un sufficiente “zoccolo duro” di nozioni che facciano da starter per la futura attività professionale. È importante mettere a disposizione informazioni aggiornate. Negli ultimi anni e non solo in campo caseario si è assistito a continui affinamenti tecnologici.
L’università deve saper stare al passo con i tempi e fornire nozioni che aiutino lo studente a inserirsi nel mondo del lavoro conoscendo lo stato dell’arte per il settore di riferimento. Se un’azienda ricerca personale in grado di ricoprire ruoli di responsabilità oltre alla preparazione scolastica, comunque fondamentale, chiede competenze di tipo manageriale che possiamo tradurre in capacità di relazionare con gli altri, di lavorare in team ma allo stesso tempo di essere leader, sapersi mettere sempre in discussione, sapere anticipare i problemi, distinguere attività a valore aggiunto da attività a scarso valore aggiunto.
Penso che l’università non possa fornire un perfetto modello professionale adatto a inserire perfettamente da subito lo studente nel mondo del lavoro ma debba fornire le fondamenta sulle quali costruire una professionalità che si acquista con l’esperienza lavorativa.
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L’offerta formativa
Le poche scuole di formazione di tecnici casari sono quasi tutte nel nord Italia. Si possono scegliere gli istituti professionali di stato per l’agricoltura e l’ambiente (IPSAA), grazie ai quali si ottiene la qualifica di “operatore della trasformazione agroalimentare lattiero casearia” frequentando il triennio del percorso di istruzione e formazione professionale. Tale qualifica prevede l’acquisizione di abilità che permettono di operare sull’intero processo di trasformazione del latte, utilizzando metodologie e tecnologie specifiche nelle diverse fasi di lavorazione. Il “tecnico per l’agricoltura e lo sviluppo rurale”, titolo conseguito con un piano di studi di cinque anni, invece, possiede competenze relative alla valorizzazione, produzione e commercializzazione dei prodotti agrari e agroindustriali.
Agli IPSAA si affiancano i corsi post diploma di istruzione formazione tecnico superiore, ovvero corsi di specializzazione di durata annuale. Si tratta di corsi di 1200 ore, suddivise tra attività teoriche e pratiche presso l’istituto e stage presso aziende del settore. A questi corsi possono partecipare diplomati o con attestato di qualifica. La finalità è formare una figura professionale specializzata nelle tecnologie di lavorazione e nelle analisi, capace di operare come tecnico di produzione e/o di laboratorio nelle linee dei reparti produttivi, nei caseifici artigianali e di azienda agricola. Altri corsi sono pensati per esempio per allevatori che hanno il proprio caseificio aziendale o desiderano avviarlo. Hanno breve durata (20-40 ore) e si tratta principalmente di corsi di introduzione alla caseificazione artigianale. Non sono professionalizzanti, ma consentono di avere informazioni dettagliate sulla produzione e di orientarsi in vista di un’eventuale scelta professionale.
In aggiunta, ci sono corsi specifici, magari su una tipologia di formaggio.
[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=”Alla formazione universitaria manca una visione d’insieme”]Penso che la formazione universitaria ricevuta nel settore lattiero-caseario, sia finalizzata al conseguimento della laurea che del successivo dottorato di ricerca, sia stata molto buona. Le caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche del latte e dei prodotti derivati, le metodiche analitiche, le tecnologie studiate mi hanno permesso di approcciarmi alla realtà casearia in cui lavoro da quasi 10 anni con un background di elevato livello.
L’esperienza di laboratorio mi ha aiutato a comprendere come eseguire praticamente le determinazioni necessarie per stabilire la genuinità delle materie prime e a definire quali controlli analitici programmare durante le varie fasi produttive. Indubbiamente un maggiore approfondimento della legislazione, che ai tempi non era molto valorizzata, merita di essere preso in considerazione e della sua applicazione in campo pratico. Per esempio che cosa comporta il superamento dei limiti microbiologici dell’ex reg. 2073 oppure come gestire le comunicazioni con Asl per il superamento delle medie geometriche delle cellule somatiche o CBT, oppure delle aflatossine.
Gestione dei certificati sanitari per l’esportazione verso Paesi terzi e conoscenza dei loro requisiti principali (USA, Australia, Giappone, Russia, Cina e Corea). Quello che probabilmente manca alla formazione universitaria è una visione d’insieme di un processo produttivo e di tutte le dinamiche coinvolte nella sua gestione, delle norme di certificazione (BRC o IFS o ISO), dei requisiti richiesti in ambito strutturale, formale (politica della qualità) o dell’analisi del rischio.
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Alcuni consorzi, agenzie, centri di formazione operano sul territorio, progettando e gestendo attività ed iniziative di orientamento, formazione, ricerca, assistenza tecnica utilizzando i finanziamenti erogati dall’Unione Europea. Nei corsi per allevatori finanziati con il PSR (Piano di Sviluppo Rurale), l’attenzione non è più rivolta solamente agli aspetti “produttivi” dell’agroalimentare, ma anche agli aspetti ambientali e di sostenibilità energetica. Veniamo alla formazione universitaria. Per esempio, nel corso di laurea triennale in “scienze e tecnologie alimentari” offerto dalla Università degli Studi di Milano sono previsti i corsi di “chimica e tecnologia del latte” e “microbiologia lattiero-casearia”, quali insegnamenti opzionali. La scelta si amplia se si opta per la laurea magistrale, dove si trovano anche i corsi di “tecnologie avanzate per il settore lattiero caseario”, che fornisce allo studente gli strumenti per valutare l’effetto delle principali moderne tecnologie di trasformazione sulle caratteristiche dei prodotti lattiero-caseari da esse ottenuti, e quello di “microbiologia, igiene e sicurezza di latte e derivati”.
Entrambi gli insegnamenti sono a scelta orientata, mentre a scelta libera vi è il corso di “indici di qualità e proprietà funzionali dei derivati del latte” nel quale vengono descritte le i proprietà funzionali di micro- e macrocostituenti del latte e le tecnologie di preparazione di alcuni derivati del latte con specifiche destinazioni d’uso. Da questa fotografia, quello che sembra mancare in Italia è un approccio di sistema (istituzioni, enti di formazione, aziende) alla formazione in ambito lattiero-caseario.
[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=”Difficile fare formazione con il taglio costante dei finanziamenti Guido Tallone, responsabile dell’Istituto”]Parlare di un sistema nazionale di formazione nel settore lattiero-caseario non è immaginabile. L’evoluzione della formazione dipende dalla volontà dei singoli enti di proseguire nella presentazione di progetti formativi e nella ricerca di percorsi di finanziamento. L’Agenform (Agenzia dei Servizi Formativi della Provincia di Cuneo), di cui l’istituto che rappresento è una delle sedi accreditate, ha scelto la strada della collaborazione europea con la presentazione e successiva approvazione di un progetto europeo Alcotra per realizzare corsi sulla trasformazione latte e carne con i nostri vicini francesi. Occorre dire che per i passati 3 anni avevamo gestito, in collaborazione con altri enti, dei corsi definiti IFTS.
Dal 2013 e oltre, la decisione italiana è stata di non contemplare più il settore agroalimentare, tra quelli possibili per l’organizzazione di questa tipologia di formazione. Come può essere possibile che un settore di enorme importanza economica possa essere tagliato fuori dal finanziamento di percorsi formativi? A mio modo di vedere occorrerebbe avere più rapporti tra enti di formazione e rappresentanti delle categorie produttive, sia dei piccoli caseifici artigianali come di quelli industriali, in modo da modulare la formazione sulle esigenze reali del mercato del lavoro. Il settore caseario italiano è, per fortuna o sfortuna, basato su una notevole quantità di caseifici di piccola dimensione; ecco allora che la parte pratica della formazione deve avere molta rilevanza, ma deve essere possibile anche fare formazione impiegando l’esperienza di chi quotidianamente svolge un lavoro specializzato e che possa portare dei casi studio reali tali da unire la pratica con la teoria.
Non è la prima volta che si sentono queste parole: mancanza di programmazione a medio-lungo termine. Come è possibile pensare che ci siano enti capaci di fare formazione soprattutto pratica in un mestiere come quello caseario se non vi è nemmeno la certezza se il prossimo anno i corsi troveranno finanziamento? Il mondo prosegue lo stesso, ma la italica biodiversità casearia o anche la produzione più industriale ha bisogno di persone competenti. Siamo in grado di formarle? Vogliamo formarle? Oppure aspettiamo che anche i tecnici caseari siano stranieri come le proprietà agroalimentari?
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