Giappone: terra di conquista anche per il dairy made in Italy

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Con una popolazione doppia e un Pil pro capite superiore del 10% a quello italiano, il Giappone rappresenta un mercato interessante per il cibo italiano. Sebbene degli oltre 57 miliardi di euro di beni agroalimentari importati nel 2018 dal Paese del sol levante solamente l’1,5% proveniva dall’Italia, nell’ultimo decennio il valore dell’import dalla nostra penisola è passato da 537 a 865 milioni di euro.

E anche i primi dati relativi al 2019 evidenziano un ulteriore rialzo. Nel primo quadrimestre di quest’anno, le importazioni di prodotti agroalimentari italiani in Giappone sono cresciute di quasi il 13% anno su anno, rispetto a una media di mercato che ha visto aumentare l’import totale di food&beverage di circa il 9%.

La spinta degli accordi commerciali

Il trend favorevole dovrebbe trovare ulteriore spinta dall’accordo di libero scambio entrato in vigore dal 1° febbraio scorso tra i Paesi dell’Unione Europea e il Giappone e che porterà, da subito per circa il 90% delle importazioni Ue e gradualmente per il resto dei prodotti, all’azzeramento dei dazi (e delle altre barriere non tariffarie) vigenti sui prodotti agroalimentari europei. Dazi che per alcuni prodotti bandiera del made in Italy come il vino, la pasta e i formaggi vanno dal 15% al 40%.

Sono questi alcuni dei temi approfonditi durante il IV Forum Agrifood Monitor organizzato da Nomisma e Crif.

In rialzo l’interesse per il dairy made in Italy

E di opportunità da cogliere ve ne sarebbero anche per i formaggi italiani, capaci già ora di spuntare il prezzo più alto rispetto a tutti i diretti competitor (7,64 €/kg di prezzo medio all’import contro 3,62 € dell’Australia o 3,97€ degli Usa).

«Il posizionamento di prezzo più elevato dei nostri prodotti riflette una composizione del paniere esportato di più alta qualità che a sua volta discende da una maggior attenzione del consumatore giapponese verso il made in Italy» sottolinea Denis Pantini, responsabile dell’area agroalimentare di Nomisma.

Infatti, tra il 2013 e il 2018 l’export di Parmigiano Reggiano e Grana Padano in tale Paese asiatico è cresciuto a valore del 113%, quello di Gorgonzola del 109%.

Identificare il giusto consumatore target

Secondo un’indagine Agrifood Monitor* su 1.100 consumatori giapponesi l’Italia sarebbe percepita come il Paese più rappresentativo del cibo di qualità e precederebbe Francia e Stati Uniti, principali esportatori agroalimentari sul mercato locale.

Tra le fasce di popolazione giapponese che più potrebbero propendere all’acquisto di prodotti made in Italy vi sono i “millennials sperimentatori” (36% della popolazione) – giovani tra i 18 e i 38 anni, curiosi e aperti alle novità – e i “giramondo spensierati” (10% della popolazione) – individui tra i 39 e i 54 anni, con alta capacità di spesa, che amano viaggiare e conoscere nuove culture.

*Agrifood Monitor è un’iniziativa congiunta di Nomisma e CRIF