Analisi

Il profilo acidico del grasso di latte, indicatore di qualità e sostenibilità

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La composizione acidica del latte bovino oltre a svolgere un ruolo importante nella salute umana e nutrizionale, può essere anche usata come indicatore indiretto di frode alimentare, emissioni di metano ed efficienza biologica.

CRA-FLC (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura – Centro di ricerca per le produzioni foraggere e lattiero-casearie), Lodi

Gli acidi grassi presenti nel latte bovino sono oltre 400, distinti in relazione alla lunghezza della catena carboniosa in: composti a corta (da 4 a 12 atomi di C), media (da 14 a 16 atomi di C) e lunga catena (da 18 atomi di C); in base al grado di insaturazione in: saturi (SFA), monoinsaturi (MUFA) e polinsaturi (PUFA); e in base alla presenza e al tipo di doppi legami. Sono sintetizzati attraverso due principali vie: la sintesi de novo nella ghiandola mammaria (che produce acidi grassi a corta catena (AgCC) e parte di quelli a media catena (AgMC)) e il trasporto nel circolo ematico di acidi grassi preformati che originano dai grassi presenti nella razione, dalla bioidrogenazione e degradazione batterica ruminale o dalla mobilizzazione del tessuto adiposo (che produce acidi grassi a lunga catena (AgLC) e la quota rimanente di (AgMC)).

Effetti degli acidi grassi sulla salute umana

Sul fronte della nutrizione e della salute umana, il latte bovino è stato a lungo considerato un alimento di rischio per il suo contenuto in SFA. In particolare l’insorgenza di alcune malattie come l’aterosclerosi e le malattie cardiovascolari è stata associata all’assunzione di dosi elevate e per lunghi periodi di tempo di SFA. Proprio in funzione di ciò, la FAO e il WHO consigliano di assumere fino a un massimo del 30% dell’energia richiesta sottoforma di lipidi e che di questa, solo il 10% su base giornaliera, sia costituito da SFA. Mentre, è noto da tempo l’effetto positivo derivante dal consumo di latte bovino relativamente alla prevenzione dell’osteoporosi e di alcune forme di cancro al colon come pure sono stati evidenziati effetti anticolesterolemici, antinfiammatori e anticancerogeni indotti dalla presenza di acidi grassi moninsaturi (MUFA), polinsaturi (PUFA) e acido linoleico coniugato (CLA).

Sulla base di questi effetti positivi indotti dal consumo di tali acidi grassi contenuti nel latte bovino, numerosi tentativi sono stati fatti e sono tuttora in corso per elevare il contenuto di CLA e di acidi grassi polisanturi della serie ω3 nei prodotti lattiero-caseari. Sono da tempo in commercio prodotti addizionati di acidi grassi polinsaturi ω3 mentre più difficoltoso sembra il cammino che porta verso un arricchimento “naturale” in acidi grassi “salutari” dei prodotti lattiero-caseari anche se sono noti i fattori che ne determinano la variabilità.

Fattori che influenzano la composizione acidica del latte

La composizione in acidi grassi del latte è influenzata dal tipo di dieta somministrata alle bovine. Numerosi studi hanno dimostrato che diete basate sul pascolo o sull’impiego di erba fresca inducono maggiore contenuto di CLA nel grasso del latte rispetto a diete a base di fieno e/o insilati. A influenzare il profilo acidico del latte sono anche la quantità dei concentrati e la composizione di lipidi presenti nella razione (Shingfield et al., 2008). In una nostra prova sperimentale, nella qualebovine frisone sono state alimentate con razioni unifeed a diverso contenuto di proteine digeribili a livello intestinale (PDI) e a diverso contenuto di carboidrati non strutturali (NSC), il maggiore contenuto NSC ha indotto una maggiore concentrazione di AgMC e una minore proporzione di AgLC nel grasso del latte (Speroni et al., 2013; tabella 1). Anche l’integrazione della dieta con oli o semi vegetali induce variazioni più o meno favorevoli nel profilo acidico.

Tali variazioni dipendono principalmente dalla quantità, dal tipo, dalla forma del supplemento lipidico usato e dalla loro interazione con la composizione della razione di base (Chilliard et al., 2009 e Lerch et al., 2012). Queste variazioni nel profilo acidico del latte possono in parte essere spiegate dai diversi rapporti lipidici presenti nella razione ma anche dai cambiamenti che il tipo di razione induce sulla popolazione batterica ruminale o sul metabolismo dei lipidi nel rumine. Infatti, diete ricche di concentrati inducono un calo del pH ruminale che porta a una selezione della flora batterica responsabile della bioidrogenazione dei grassi con conseguente riduzione degli AgCC e AgMC. Variazioni del profilo acidico si osservano anche nel corso della lattazione: nell’esperimento già citato (Speroni et al., 2013) è stata rilevata una maggiore proporzione di AgCC e AgMC a 22 settimane di lattazione (SL) che a 10 SL, mentre la proporzione di AgLC è risultata inferiore a 22 SL che 10 SL (tabella 2).

Questo andamento si può in gran parte spiegare con le variazioni di stato energetico della bovina nel corso della lattazione. Il bilancio energetico negativo che caratterizza la prima fase di lattazione induce un’ingente mobilizzazione delle riserve corporee, con conseguente maggiore disponibilità in circolo di acidi grassi preformati (C16:0 e C18:0) e una riduzione della percentuale di C6:0-C12:0, C5:0-C15:0 e C4:0 rispetto a bovine con bilancio energetico positivo o in pareggio (Stoop, 2009). Infine, la composizione acidica del latte è influenzata da fattori genetici. A questo proposito sono state ampiamente indagate le differenze presenti tra i profili acidici del latte prodotto da diverse razze bovine, con particolare attenzione al contenuto in CLA.

In particolare, il latte prodotto dalla razza Montbeliarde è caratterizzato da un maggiore contenuto di CLA rispetto alla Frisona Italina, Olandese e Normandes (Lawless et al., 1999); le bovine di razza Blue Belga producono un latte caratterizzato da una minore percentuale di grasso e una maggiore percentuale di acidi grassi insaturi rispetto al latte prodotto da bovine di razza Frisona; infine, le bovine di razza Jersey producono un latte più ricco di grasso e con una percentuale bassa di MUFA rispetto alle bovine di razza Frisona (Soyeurt et al., 2008). Inoltre, da uno studio condotto su bovine di razza US Holstein è emersa l’esistenza di una variabilità genetica degli Ag- MC e AgLC tra i soggetti. Infine, la presenza di polimorfismi su alcuni geni coinvolti nella sintesi degli acidi grassi influenza il contenuto di AgMC, AgLC e PUFA nel latte di alcune razze bovine (Marchitelli et al., 2013).

Lo studio dei fattori che influiscono sul profilo acidico suggerisce la possibilità di migliorare la qualità del latte scegliendo la giusta razione, la razza bovina e/o soggetti capaci di produrre un latte con caratteristiche nutrizionali desiderate. Inoltre, l’accresciuta conoscenza dei determinismi genetici e non che ne causano la variabilità, ha indotto ricercatori e tecnici ad utilizzare il profilo acidico del latte in modo sempre più ampio quale indicatore per la caratterizzazione dei prodotti e degli animali.

Uso del profilo acidico del latte come indicatore di genuinità

Nell’industria alimentare la composizione acidica del latte è usata come indicatore di frode alimentare in quanto rappresenta un parametro utile in grado di accertare la presenza di grassi estranei a miscele ottenute con grasso di latte vaccino. L’analisi gascromatografica, prima, e il metodo di Precht (introdotto con il regolamento CE 273 del 2008), dopo, hanno consentito di individuare l’aggiunta di grassi estranei di tipo animale, in particolare sego, alla normale composizione del burro ottenuto con latte vaccino mediante la separazione dei costituenti della matrice lipidica, in particolare dei trigliceridi, fornendo una misura di genuinità del burro.

Questa determinazione, se associata alla separazione di altri acidi grassi (es. digliceridi, esteri del colesterolo ecc.) consente di evidenziare in modo più dettagliato l’aggiunta di prodotti di difficile determinazione data la loro composizione in una miscela con il burro (o con il grasso del latte). Tuttavia, questi metodi non sono in grado di valutare la genuinità di miscele di grassi ottenuti con latte di altre specie, come bufala, capra e pecora, pertanto è necessario sviluppare ulteriori tecniche in grado di individuare frodi alimentari relative alla sofisticazione del burro ottenuto con un latte di altre specie di particolare interesse per la produzione di prodotti lattiero-caseari (Toppino et al., 1982; Contarini et al., 2010).

Uso del profilo acidico del latte come indicatore di efficienza biologica e di sostenibilità ambientale

Alle produzioni animali viene chiesto con sempre maggiore insistenza di divenire più sostenibili; i ruminanti, in particolare, sono considerati tra i principali responsabili di inquinamento atmosferico a causa delle emissioni di metano prodotte durante la digestione microbica dell’alimento nel rumine. In quest’ottica, ricercatori e tecnici sono alla continua ricerca di strumenti utili a misurare ed a confrontare la sostenibilità dei diversi sistemi produttivi. Massimizzare l’efficienza di trasformazione dei foraggi in latte (efficienza biologica) è una pratica da perseguire al fine di migliorare la sostenibilità del sistema produttivo lattiero-caseario; d’altra parte misurare l’efficienza biologica negli allevamenti sarebbe pratica difficile e costosa.

Per questo motivo, conoscendo che la capacità di mobilizzazione delle riserve corporee è un aspetto importante nel determinare la variabilità di efficienza biologica individuale e sapendo che l’entità della mobilizzazione delle riserve corporee e che l’efficienza digestiva e metabolica influenzano il profilo acidico del latte, abbiamo voluto verificare sperimentalmente l’ipotesi che a 10 SL il profilo acidico del latte fosse correlato all’efficienza biologica calcolata come rapporto tra energia misurata nel latte prodotto ed energia in eccesso rispetto ai fabbisogni di mantenimento. Dai nostri dati sperimentali è emerso che l’efficienza biologica è correlata positivamente con C4:0, C18:0 e C18:3 nel latte prodotto e negativamente con C12:0 (Speroni et al., 2013, tabella 3). In altri studi (Chilliard et al., 2009; Dijkstra et al., 2011) il profilo acidico è stato proposto come un potenziale indicatore di emissioni di metano (CH4) in vivo nei ruminanti, in quanto la quantità di CH4 emessa è risultata correlata positivamente con alcuni acidi grassi saturi (da C6:0 a C16:0 e C10:1) e negativamente con alcuni acidi grassi insaturi.

L’esistenza di queste correlazioni è giustificata dal fatto che i precursori della sintesi de novo degli acidi grassi nella mammella (acetato, propionato e butirrato) si trovano nel rumine in un rapporto stechiometrico con il CH4 (CH4 = 0,45 acetato- 0,275 propionato + 0,40 butirrato). In conclusione, la composizione degli acidi grassi consente di ottenere informazioni non solo sulla qualità dei prodotti lattiero-caseari ma anche sulla sostenibilità ambientale. In tal senso, si stanno sviluppando nuove metodiche di analisi: la spettroscopia a medio infrarosso (MIR) in grado di fornire una stima delle emissioni individuali di metano emesse su larga scala e che permette di individuare bovine a bassa capacità di emissione di metano (Dehareng et al., 2012) e la spettroscopia a vicino infrarosso (NIR), in grado di fornire una valutazione accurata e rapida del profilo acidico dei grassi ad uso alimentare. (Cabassi et al., 2012)

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Cabassi G., Povolo M., Genorini E., Degano L., Passolungo L., Bruni A., Contarini G. (2012). 5° Simposio Italiano di Spettroscopia NIR, 26-28 settembre, Legnaro, Padova, Ed. SISNIR. 138-144.
Contarini, Giovanna, Milena Povolo, and Lodi CRA-FLC (2010). “Analisi dei burri e difesa dalle frodi.” Atti del Convegno Il burro tra passato, presente e futuro, Reggio Emilia, Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano Ed. 125-145.
Dehareng F., Delfosse C., Froidmont E., Soyeurt H., Martin C., Gengler N., Vanlierde A., Dardenne P. (2012). Potential use of milk mid-infrared spectra to predict individual methane emission of dairy cows. The Animal Consortium. 6:1694-1701.
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2 Commenti

    • Buon giorno. La ringraziamo di averci scritto. Ho girato la sua richiesta agli autori dell’articolo che mi hanno così risposto: “Nel nostro laboratorio non facciamo questa analisi di routine. Consiglio di rivolgersi a qualche laboratorio specializzato, facilmente individuabile dal web.”

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