Il siero ai tempi delle pandemie

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Nel II secolo d.C. Galeno, medico dell’imperatore Marco Aurelio, consigliava il siero di latte per la cura di varie patologie. In quello stesso periodo Galeno visse e descrisse la pandemia di vaiolo nota come “peste antonina”. Curiosamente, dopo 1800 anni e in tempi di pandemia Covid-19, il siero è ancora oggetto di studio per le sue proprietà “terapeutiche”, in gran parte legate all’attività biologica di alcuni suoi componenti, uno fra tutti la lattoferrina. Una glicoproteina Ferro-trasportatrice identificata nel latte vaccino alla fine degli anni Trenta, e dal quale fu isolata nel 1960. Venticinque anni dopo, inizieranno la purificazione dal siero su scala industriale e l’impiego della lattoferrina in formulazioni per la prima infanzia. Una destinazione commerciale ancora tra le più importanti e remunerative.

Oggi l’interesse per questa proteina è legato alle sue potenziali attività antivirali. Studiate in vitro contro molti tipi di virus, tra cui il coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV), strettamente correlato al nuovo coronavirus SARS-CoV-2. Un interesse suscitato anche dall’azione antinfiammatoria e immunomodulante della lattoferrina. Effetti potenzialmente rilevanti per moderare la risposta infiammatoria in pazienti gravi. Tanto che, secondo un recente studio, la lattoferrina favorirebbe la remissione dei sintomi clinici nei positivi sintomatici e la negativizzazione del tampone in tempi più rapidi. Su queste basi, è stato proposto l’utilizzo di lattoferrina come integratore per prevenire l’infezione da SARS-CoV-2, e come trattamento aggiuntivo per migliorare l’efficacia dei trattamenti farmacologici antivirali per coloro che hanno contratto il virus.

Risultati diffusisi in modo “virale” attraverso i new media, ma assolutamente preliminari. Risultati che richiedono ulteriori evidenze scientifiche e conferme, ma che non esauriranno l‘interesse per la lattoferrina.

Come testimoniato dalle numerose applicazioni sviluppate da decenni in ambito alimentare e non. E dal valore economico del suo mercato in costante aumento che report recenti indicano in circa 900 milioni di dollari entro il 2027, con un tasso di crescita annuo del 6-8%. Soprattutto in quei Paesi dove la cultura e la tecnologia di valorizzazione del siero si sono sviluppate di pari passo con il progredire delle conoscenze scientifiche sulle proprietà dei suoi costituenti. Così come inconsapevolmente sperimentato da Galeno. Non in Italia, dove il siero ha rappresentato un problema, o solo una risorsa per l’alimentazione dei suini. Gli unici ad avere beneficiato delle sue proprietà nutrizionali e salutistiche. Sfruttamento certamente meno importante del valore aggiunto creato dai suoi singoli costituenti che fanno del siero un’incredibile materia seconda, non meno importante della materia prima da cui deriva.