L’embargo russo costa 48 milioni di euro al dairy italiano

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I dati sulla bilancia commerciale di prodotti agroalimentari della Federazione Russa appena diffusi da Ismea quantificano i costi di questa lunga guerra commerciale che ha mandato in fumo anni di lavoro e di relazioni.

L’andamento storico dell’agroalimentare

Tra il 2009 e il 2013 (anno preso a riferimento come livello pre embargo) le esportazioni sono cresciute dell’83,4% e le importazioni del 93,6%. Tra il 2013 e il 2018 la tendenza si è invertita, con le importazioni che hanno mostrato una contrazione più consistente (-15,0%) rispetto alle esportazioni (-4,1%). Il calo delle importazioni della Russia successivo al 2013 dipende per la gran parte dall’embargo ma è anche da ricondurre alla fase di recessione dell’economia del Paese conseguente al crollo dei prezzi del petrolio che ha provocato una contrazione del PIL e un abbassamento del reddito disponibile. Nel 2018, i prodotti agroalimentari incidono sulla bilancia commerciale della Russia per il 5,5% dell’export e circa il 12% dell’import. La bilancia commerciale del settore agroalimentare russo registra un passivo di 4 miliardi di euro. A fronte di 21 miliardi di export, le importazioni sono superiori a 25 miliardi di euro e hanno mostrato una crescita del 60% tra il 2009 e il 2013, per poi ridursi del -23% tra il 2013 e il 2018. La dinamica dell’ultimo decennio dell’import russo di prodotti agroalimentari italiani è risultata in crescita del 124% nel periodo pre embargo (da 485 milioni di euro nel 2009 a 1,1 miliardi di euro nel 2013), per poi contrarsi del 12,9% nel 2018 rispetto al 2013, attestandosi a 945 miliardi di euro. Nel periodo pre embargo (2009-2013) i prodotti agroalimentari italiani più richiesti dalla Russia interessavano i comparti delle “bevande” (soprattutto vini), “frutta”, “derivati dei cereali”, “carni”, “caffè”, “cacao e sue preparazioni”, “latte e derivati”, “oli e grassi vegetali” e “preparazioni di ortaggi e frutta”. Dal 2014, con l’embargo, si sono azzerate le importazioni russe dall’Italia di “frutta”, “carni”, “latte e derivati”.

L’andamento storico del settore lattiero

La Russia ha importato in totale 903 milioni di euro di latte e derivati nel 2009. Tale cifra è salita a 3.318 milioni di euro nel 2013 per poi scendere nel 2014 a 2.877 milioni di euro e attestarsi a 1.977 nel 2018 (la variazione 2018/2013 è stata del -40,4%). Tale quadro riferito alle esportazioni lattiere italiane partiva dai 14 milioni di euro del 2009, saliti a 51 nel 2013, scesi a 32 nel 2014 e a 3 lo scorso anno.

Azzerato l’export lattiero

La perdita economica sulle esportazioni agroalimentari italiane generata dall’embargo si può stimare in almeno 217 milioni di euro con “frutta fresca”, “carni “e “latte e derivati” che perdono rispettivamente 112, 57 e 48 milioni di euro rispetto al periodo pre embargo. I prodotti più penalizzati sono uva, mele, kiwi, pesche, formaggi freschi e stagionati, carni bovine fresche e congelate. Il danno si è riversato su pochi settori e su circoscritti areali produttivi accentuandone gli effetti. Molte delle produzioni interessate, infatti, provengono da specifiche regioni come il Trentino Alto Adige (mele), Emilia Romagna (pesche e Parmigiano Reggiano), Puglia (uva) e Lazio (kiwi). Le poche filiere e i limitati territori interessati hanno quindi sostenuto gran parte della perdita, dovendo modificare velocemente le strategie di collocamento sui mercati esteri e gestire il surplus produttivo.

La situazione attuale

Nonostante si sia ridotta la presenza dell’UE sul mercato russo, l’Italia nel 2018 si posiziona al settimo posto tra i fornitori mondiali agroalimentari con un fatturato di 945 milioni di euro. Nell’ambito dei Paesi UE, grazie all’aumento delle esportazioni in Russia di prodotti non oggetto di embargo, l’Italia ha rafforzato la propria posizione su questo mercato passando dalla quinta posizione del 2013 al secondo posto tra i fornitori comunitari, dietro alla Germania. La perdita di fatturato dei prodotti interessati dall’embargo è stata quindi parzialmente compensata dalla crescita di altri comparti come quello vinicolo, oleario e del pomodoro, panetteria e pasticceria.

Fonte: Ismea