Al-peggio al meglio

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Anche quest’anno è partita la stagione d’alpeggio. Un’attività che nell’immaginario di molti rimanda a una memoria storica, qualcosa di atavico e immutato nel tempo. In realtà, la pratica dell’alpeggio è molto cambiata. Secondo alcuni dovendosi adeguare o, peggio, piegare a logiche agro-zootecniche e di trasformazione del latte, diciamo, di pianura. A partire dalla sostituzione delle vacche autoctone con bovine di razze più produttive ma più esigenti per alimentazione e, quindi, con la necessità di compensare con concentrati la razione pascoliva. Per arrivare ai cambiamenti apportati alle strutture e alle attrezzature per la raccolta del latte e la sua trasformazione casearia in osservanza delle norme del Pacchetto Igiene. Nel complesso una vera metamorfosi percepita in maniera diametralmente opposta da chi la ritiene solo il naturale adattamento all’attuale contesto normativo e socio-economico. E chi considera la pratica dell’alpeggio come l’ultimo baluardo contro la nefasta zootecnia estensiva di pianura e, soprattutto, contro il fondamentalismo (sic!) igienico-sanitario. Responsabile della morte della biodiversità microbica del latte e, quindi, dell’omologazione industriale del formaggio di malga.

È innegabile che questa metamorfosi ha comportato un difficile cambiamento, anche culturale, delle pratiche di raccolta e caseificazione del latte in malga. Ma oggi è garanzia di sicurezza alimentare per i prodotti di alpeggio. Come evidenzia la relazione sull’attività del “Piano alpeggi” di Regione Lombardia, con pochissime non conformità riscontrate per i prodotti lattiero caseari preparati nelle 372 strutture attive nel 2019. Un dato importante, nonostante le criticità e le difficoltà ancora presenti nel garantire adeguate caratteristiche di potabilità dell’acqua impiegata in malga. E nel ridurre al minimo l’impatto ambientale generato dai reflui di caseificazione.

L’alpeggio dovrà perciò diventare un sistema sempre più multifunzionale, capace di gestire e conciliare redditività, tecniche tradizionali di caseificazione, sicurezza e tipicità dei prodotti, tutela dell’habitat. Temi tutti importanti che richiedono nuove competenze e non vecchie polemiche su ciò che erano (e nei fatti oggi non sono più) la pratica dell’alpeggio e, soprattutto, l’attività casearia ad essa connessa. Competenze che dovrebbero costituire, più dell’offerta economica, il vero criterio di selezione e assegnazione pubblica degli alpeggi. Anche per evitare, come accaduto anche di recente, speculazioni finalizzate al solo ottenimento dei contributi comunitari.

La metamorfosi dell’alpeggio è quindi ancora in corso. Per migliorare, si intende, perché al-peggio non c’era limite…