I film plastici offrono ampie possibilità per il confezionamento dei formaggi in porzione. Oltre a garantire la sicurezza alimentare e prolungare la shelf life, essi assicurano una maggiore visibilità a scaffale
Come deve essere oggi un formaggio di successo? Qualità e sicurezza sono prerequisiti: deve sapersi imporre, insieme al proprio marchio, sulle superfici di vendita; deve avere un rapporto qualità/prezzo vantaggioso e caratteristiche tali da competere sui mercati internazionali. Se l’abilità del produttore resta determinante, anche la giusta scelta del packaging riveste un contributo tutt’altro che trascurabile in diversi ambiti: la conservabilità, la fruibilità, il contenimento dei costi, la presentazione del prodotto, la forza di comunicazione del marchio.
Per parlare di questi temi, Sealed Air ha riunito nella propria sede di Passirana (Mi) gli operatori del settore dei formaggi e alcuni esperti per una panoramica sull’andamento del comparto e presentare le soluzioni più innovative di packaging per il comparto caseario, molto importante per la multinazionale. «Su un giro di affari di 7-8 miliardi di dollari a livello mondiale – ha spiegato Luca Grassi district sales manager di Sealed Air – la food care pesa oltre 60% e il comparto lattiero-caseario è il secondo per rilevanza in ambito food». Le soluzioni presentate soddisfano i quattro pilastri su cui si fonda la vision dell’azienda: la food safety, l’allungamento shelf life, l’efficienza nei processi produttivi e la costruzione del marchio del cliente.«Il mercato del formaggio – ha spiegato Antioco Mei, business development di Sealed Air – guarda con interesse all’export come fonte di opportunità di business, ma per competere su questi mercati è necessario un pack che veicoli l’idea di eccellenza del prodotto. I sacchi termoretraibili offrono una risposta a questa esigenza, garantendo una prolungata shelf life e valorizzando il “taglio roccia” molto apprezzato sui mercati internazionali, in primis quello britannico. La sagomatura dei sacchi e la stampa in 10 colori permette di ottenere risultati di grande appeal e diversi sistemi di apertura facilitata garantiscono il contenuto di servizio». È anche possibile integrare nel sacco un dispositivo anti-taccheggio idoneo al contatto con alimenti, una soluzione particolarmente interessante per i formaggi grana a lunga stagionatura, che sono tra le referenze più spesso oggetto di differenze inventariali nel retail.
Cryovac Darfresh®, invece, garantisce un effetto “seconda pelle” molto accattivante che porta il formaggio più vicino all’occhio del consumatore. Questo processo di confezionamento permette di creare una confezione skin sottovuoto. Il top si avvolge completamente intorno al prodotto, prendendone esattamente la forma senza comprimerlo, evidenziando – nel caso del formaggio – anche le più piccole occhiature. La saldatura con il fondo (che può essere un film semirigido o un vassoio preformato) avviene a caldo seguendo perfettamente il perimetro dell’alimento, questo permette di mantenere la confezione in verticale, migliorando la visibilità a scaffale, senza che il prodotto scivoli verso il basso.
«Anche un prodotto tradizionale come il termoformato – ha sottolineato Mei – può però avere molto da offrire, aumentando il contenuto di servizio attraverso materiali che possono essere usati per la cottura (per esempio per dei mix di formaggi da fondere) o richiudibili».
Sostenibilità: falsi miti da combattere
Parlando di imballaggi non si può fare a meno di menzionare il tema della sostenibilità: il consumatore medio dimostra una grande preoccupazione per l’impatto ambientale degli imballaggi degli alimenti, dimenticando che essi offrono un notevole contributo alla lotta allo spreco.
«Tutte le filiere – ha spiegato Laura Passerini, Life Cycle Specialist di Sealed Air – sono interessate al problema del food waste, ma è nella fase di consumo che si generano gli sprechi maggiori. Secondo dati FAO (2011) la filiera del latte è tra le più virtuose: gli sprechi si aggirano intorno al 13%, divisi tra produzione (4%), trasformazione e pack (1,2%), retail (0,5%) e consumo (7%)».
E non è neppure vero che il pack incida pesantemente sull’impatto ambientale: l’imballaggio (trasporto compreso) rappresenta il 5% dell’energia utilizzata nella supply chain del formaggio, Per molti prodotti le fasi di produzione e trasformazione rappresentano il consumo maggiore. «Uno studio condotto da Santangiolina Latte Fattorie Lombarde – ha raccontato la Passerini – ha dimostrato che nella filiera del Grana Padano l’imballaggio determina il 2% della carbon footprint totale, le emissioni in stalla e in caseificio rappresentano il consumo maggiore. Gli scarti dovuti alla crosta rappresentano il 7% delle emissioni. La carbon footprint di 1kg di Grana Padano è circa 76 volte quella del suo imballaggio ed è sufficiente un piccolo spreco per incidere pesantemente sull’impatto ambientale totale».
Sealed Air ha misurato l’impatto ambientale dell’imballaggio per una porzione di formaggio Grana Padano da 300g, paragonando la confezione termoformata con il sacco barriera termoretraibile, a parità di garanzie di sicurezza alimentare. «L’utilizzo della shrink bag – ha sottolineato – permette una riduzione del 74% del peso dell’imballo e l’ottimizzazione dello spazio durante il trasporto, con un incremento del numero di pacchi per scatola del 50% (da 10 a 15). Questo si traduce in riduzioni dei costi sia relativi ai materiali che al trasporto. Si abbassano anche quelli di smaltimento, anche per la tipologia stessa di film impiegato».
Il nuovo sacco Cryovac® OptiDure™, che per la sua alta resistenza è indicato per prodotti duri come i quarti e gli ottavi di formaggi da grattugia, ha impatto ambientale inferiore rispetto ai sacchi tradizionali a parità di shelf life, soprattutto in virtù della riduzione del 34% dell’imballaggio. La carbon footprint è inferiore del 24% e la richiesta di energia del 31%. «A nostro avviso – ha precisato la Passerini – non esistono alternative equivalenti. La sua permeabilità al gas è molto più bassa rispetto ad altri materiali barriera. Lo eguaglia solo l’EVOH che è però molto più sensibile all’umidità. Confrontando due sacchi contenenti uno EVOH, l’altro PVdC di pari spessore, il sacco PVdC ha una carbon footprint del 38% inferiore al sacco EVOH e un inferiore impatto ambientale complessivo».
Sul fronte dello smaltimento, la presenza di cloro nel sacco è talmente bassa (4%) da non comportare una riduzione del potere calorifico del rifiuto plastico rispetto a un sacco barriera EVOH. Inoltre la quantità di polimeri clorurati provenienti da sacchi barriera che entra nell’inceneritore rappresenta lo 0,5% del totale incenerito ogni anno in Europa (fonte SEE e Plastic Europe). «Una eliminazione di questi sacchi– ha ipotizzato Laura Passerini – determinerebbe un danno ambientale in termini di food waste ma non cambierebbe la composizione totale dei rifiuti inceneriti. Inoltre esistono svariate possibili applicazioni per il riciclo sia meccanico, che chimico. La nostra R&D Sealed Air ha sviluppato dei metodi in tal senso».