Formaggio, formico e… caffè

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03895FCHA volte mi chiedo se il vero nemico dell’agroalimentare italiano sia l’Italian sounding o la disinformazione e l’ignoranza tecnica che regnano sovrane sui (social) media italiani quando si parla e si scrive di alimenti. Nel caso del settore lattiero-caseario, la seconda ipotesi mi sembra più che plausibile a giudicare anche dalla vicenda “acido formico” che ha riscaldato il luglio italiano già torrido per (il clima e) il caso latte in polvere. Vicenda che si collega alla presenza di acido formico in un lotto (prodotto all’estero) di fermenti lattici per l’industria lattiero-casearia e che ha innescato un’inchiesta della procura di Torino per frode in commercio, e una dissertazione mediatica su basi tecniche pressoché pari a zero.

Ma facciamo un passo indietro. L’acido formico è un prodotto del metabolismo di Streptococcus thermophilus che, come noto, rappresenta uno dei batteri lattici più utilizzati nell’industria lattiero-casearia, per esempio come fermento (starter) per preparare formaggi e yogurt. Non sorprende quindi ritrovare questo acido organico in colture commerciali di questo microorganismo. Semmai, il problema potrebbe essere rappresentato dalla quantità di acido formico presente nella coltura. Questione alla base dei controlli (e dell’inchiesta torinese) avviati in conformità a una circolare del ministero della Salute che indicava come non lecita l’aggiunta allo starter di acido formico in quantità pari al 2-3%. Circolare che peraltro confermava non sussistere alcun rischio sanitario connesso alla presenza di acido formico residuato nella preparazione di starter per il settore lattiero-caseario.

Questi i fatti e i presupposti della “vicenda formico” che, su vari media nazionali, sono stati trattati con affermazioni del tipo: “Troppo acido formico nel formaggio: made in Italy non tutelato”, “Formaggio all’acido formico!”, “I rischi riguarderebbero la tutela del made in Italy e della qualità dei prodotti che con percentuali così elevate di acido formico perdono i loro sapori tradizionali”. O ancora: “un formaggio con residui di acido formico non può essere considerato originale, autentico, schietto”. Affermazioni prive di qualsiasi attinenza diretta ai fatti visto che l’acido formico è stato ritrovato nella coltura, ma soprattutto dichiarazioni prive di fondamento tecnico. Basterebbe spiegare che l’acido formico, qualora presente in un formaggio, è soprattutto il prodotto dello sviluppo e dell’attività di Streptococcus thermophilus e che, in conseguenza di questi e altri fattori tecnologici, la concentrazione di acido formico varia da pochi milligrammi a più di un grammo per chilo di formaggio. “È la dose che fa il veleno” affermava Paracelso, ma queste quantità di acido formico non rendono il formaggio pericoloso, neanche meno originale, autentico, e schietto. Di sicuro anche il più strenuo passionario del caseario nostrano non avrebbe motivo di vedere l’acido formico dello starter come un attentatore al made in Italy.

Evidentemente il clima EXPO ha reso particolarmente nervosa l’informazione (sic!) alimentare. Consiglierei a qualche giornalista che ha dissertato della “vicenda formico” di bere meno caffè… anche considerando che nel caffè tostato le quantità di acido formico arrivano a 8 grammi per chilo!