I Grandi falsi miti

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Non fosse arrivata prepotentemente la questione dei cibi sintetici, l’interesse mediatico per il nostro settore lattiero-caseario sarebbe focalizzato prevalentemente sui formaggi DOP. Detto fatto, a scalzare temporaneamente dai media gli alimenti sintetici è stata una intervista fatta al prof. Alberto Grandi, storico dell’alimentazione, pubblicata qualche settimana fa sul Financial Times. Il contenuto dell’intervista dal titolo “Tutto quello che io, italiano, pensavo di sapere sul cibo italiano è sbagliato” mette in discussione il valore identitario di parte della produzione agroalimentare italiana. L’intervista sarebbe passata inosservata se le considerazioni fatte dall’intervistato non avessero coinvolto oltre a panettone, carbonara, pizza e tortellini anche il Parmigiano Reggiano. Tanto che l’intervista è stata poi ripresa dai media italiani sintetizzandone i contenuti con “Il vero Parmigiano si fa in Wisconsin”.

Già nove anni fa, prima di Grandi, comparve sul Wall Street Journal un articolo dal titolo “What’s More American than Parmesan”. Non distante, per contenuto generale, dall’opinione espressa nell’intervista da Grandi, docente all’Università di Parma (nemo propheta in patria…). In Italia, non si sono fatte attendere le dichiarazioni di politici e associazioni di categoria, a loro volta sintetizzabili come un grave attacco all’eccellenza dell’agroalimentare italiano. Già vittima di insetti e carne sintetica. Se nell’intervista il prof. Grandi difetta di qualche conoscenza di tecnica casearia, non pecca certo di incoerenza. Da tempo, infatti, è impegnato a “sfatare i falsi miti” del cibo Made in Italy. Forse, il suo libro “Denominazione di origine inventata” del 2018 sarebbe stato sufficiente a innescare la miccia tempo fa.

Invece, a scoppio ritardato, oggi è al centro della bufera. Forse perché per la prima volta queste argomentazioni hanno avuto risonanza su stampa e televisioni estere.

Ma quale è il tema: disquisire sui falsi miti dell’intervista o cogliere l’occasione per chiarire tecnicamente alcune differenze (qualitative) tra Parmesan e Parmigiano Reggiano? Basterebbe, per esempio, esaminare il “disciplinare” di produzione del Parmesan sul sito della Food and Drug Administration. Iniziando dal tipo di latte utilizzabile, che può essere aggiunto di crema, latte concentrato e/o latte in polvere. Con la possibilità di sbiancarlo con perossido di benzoile, allume di potassio e altro ancora. A questo pot-pourri di materie prime possono essere aggiunti coloranti… se non si è prima sbiancato. Parimenti, possono essere usate preparazioni enzimatiche per accelerare la maturazione del Parmesan. Ci può essere anche qualche antifungino, ovviamente sicuro e adatto allo scopo…

Difficile capire il clamore suscitato dall’intervista. Oggi, per la difesa della qualità dei nostri formaggi DOP servono soprattutto argomentazioni tecniche più che discussioni filologiche e di antropologia alimentare. In alternativa, per sfatare il mito potremmo assaggiare il Parmesan.