In questi ultimi anni si è assistito a una riscoperta di tutti quei prodotti che conservano la genuinità e i sapori di un tempo: grazie a ciò il Maiorchino, ritenuto un pregiato formaggio a pasta dura cotta, è stato salvato dall’estinzione.
Il Maiorchino rientra nell’elenco dei prodotti agroalimetari tradizionali (PAT) stilato dal ministero delle politiche agricole e forestali (Mipaaf). Quello prodotto a Novara di Sicilia ha ottenuto lo stesso riconoscimento, singolarmente, come Maiorchino di Novara di Sicilia. È un formaggio siciliano a pasta dura pressata, prodotto con latte crudo misto di bovino, ovino e caprino ad acidità naturale di fermentazione. Particolarità della lavorazione è la foratura della pasta con il “minaccino” per favorire la sineresi.
Produzione
Il Maiorchino è un formaggio tipico della cittadina di Novara di Sicilia, che si trova nella provincia di Messina. Questo formaggio si ottiene a partire da latte ovino intero caldo di una mungitura, caprino (circa il 30%) e vaccino (massimo 20%), prodotto da razze locali allevate nelle stesse aziende di produzionedel Maiorchino. Si produce, in piccole quantità, da febbraio fino alle seconda decade di giugno, quando la resa è maggiore (200 litri di latte che diventano 18 kg di formaggio). Dopo la mungitura, il latte è travasato in un recipiente di rame e portato a circa 39 °C con fuoco diretto ottenuto da legna. A questa temperatura si aggiunge il caglio in pasta di capretto o agnello e si lascia riposare per circa 45 minuti, sino alla coagulazione. La cagliata viene poi rotta, con uno strumento detto “brocca”, sino a raggiungere le dimensioni della cariosside di riso. Si rimette la caldaia sul fuoco e, continuando a girare, si porta a una temperatura di 60 °C. Successivamente si toglie dal fuoco e si appoggia a terra in posizione obliqua e si fa riposare per altri 45 minuti. Il coagulo viene quindi raccolto a forma sferica, estratto con le mani e messo nelle fascere. Immediatamente incomincia l’affascinante fase della foratura (o bucatura), per favorire la fuoriuscita del siero dalla pasta: con un ago di ferro, alluminio o legno, detto “minaccino” si forano le bolle d’aria che via-via si formano nella pasta, pressando poi delicatamente con le mani la superficie del pecorino. Un’operazione lenta e paziente che può durare anche due ore e che viene ripetuta, se necessario, dopo una seconda cottura. Finita questa operazione la forma viene messa nel siero in modo che la cottura a 80 °C si protragga per un’ora, in seguito alla quale si procede all’estrazione e all’ulteriore spurgo per compressione (eventuale). Dopo questa operazione si versa dell’acqua fresca per raffreddare e lavare il formaggio poi, dopo aver lasciato riposare le forme per 24 ore, si procede all’estrazione e all’asciugatura per uno o due giorni su ripiani di legno di noce. Quando inizia la fermentazione comincia la salatura, durante la quale il formaggio viene cosparso di sale marino grosso per 15-20 giorni e, nel caso in cui compaia della muffa all’esterno, la forma viene strofinata con acqua e sale per altri 15-20 giorni. Durante la stagionatura, che dura dai sei agli otto mesi (ma può raggiungere anche i 24 mesi) in locali di pietra interrati, freschi e umidi nei quali la termoigrometria si mantiene costante per tutto l’anno, le forme vengono pulite, rivoltate e trattate superficialmente con olio di oliva ogni due-tre giorni. È posto in vendita con un’etichetta riportante la denominazione “Maiorchino”, il nome del produttore, gli ingredienti, la data di scadenza e la dicitura “a latte crudo”.
Caratteristiche
Ogni forma di Maiorchino è il risultato di un procedimento lungo e paziente, da seguire con attenzione. È uno dei più grandi pecorini d’Italia, sia in senso fisico che qualitativo ed è notevole anche la sua attitudine alle stagionature prolungate: quando è giovane presenta sensazioni organolettiche meno intense, dominate dal vello e da sentori di latticello; quando supera l’anno di stagionatura i profumi diventano persistenti e netti evidenziando odori di burro ed erbe, con note fruttate dolci e delicate che richiamano la mela e la vaniglia (Ricerca Corfilac). Il Maiorchino ha forma cilindrica a facce piane o lievemente concave, crosta solcata di colore giallo ambrato che diventa marrone con l’avanzare della stagionatura e pasta bianca tendente al paglierino, di consistenza compatta. L’occhiatura, quasi assente, è comunque tollerata. L’altezza dello scalzo è di 12 cm e il diametro di 35 cm, il peso va dai 10 ai 18 kg. La materia grassa è circa 37% mentre il cloruro di sodio rappresenta il 5% circa (entrambi i valori sono espressi sulla sostanza secca).
Le origini del Maiorchino sono antichissime anche se non si conosce il periodo esatto in cui iniziò la produzione. Già nei primi anni del 1600 il Maiorchino divenne il protagonista di un tradizionale gioco a Novara di Sicilia e da esso sembra trarne il nome “a Maiurchea”. Secondo altre fonti il termine Maiorchino deriverebbe invece da una varietà di frumento indigena “maiorca” che ha una mietitura precoce, a maggio: periodo coincidente con la preparazione di questo formaggio. La tecnica di caseificazione probabilmente ha risentito anche di antichi segreti importati dai “lombardi” negli anni mille, infatti lo studio della produzione, diversa da quella del comune pecorino, consente di cogliere alcuni aspetti della tecnica produttiva del grana. Altre fonti ritengono che la denominazione stia per “originario di Maiorca”, isola della Baleari: si ipotizza dunque un’origine spagnola, fatto probabile, vista la dominante presenza spagnola, fatto in Sicilia. Le tecniche di produzione tradizionali sono state illustrate in maniera esaustiva nel libro di Carmelo Campisi Pecore e pecorino della Sicilia del 1933. Questo formaggio è molto apprezzato e ricercato in Sicilia. Da alcune testimonianze della cultura folkloristica siciliana si ritiene che esso abbia fatto la sua comparsa intorno al ‘600 in occasione della Sagra della Maiorchina. Ancora oggi, a Carnevale, con le forme stagionate, nei comuni di Basicò e Novara di Sicilia (Messina), si effettua la tradizionale “ruzzola”.