Latte e derivati sotto accusa sul web

2021

Latte e osteoporosi

Ad Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran), abbiamo chiesto di rispondere a chi accusa il latte di demineralizzare l’osso causando l’osteoporosi per colpa delle proteine acide in esso contenute. «Il latte ha un contenuto proteico non abbondante, 3,3 g per 100 g. Le due porzioni di latte consigliate al giorno apportano quindi 8 g di proteine. Tofu o seitan ne contengono di più. 8 g di proteine costituiscono poco più del 10% dell’apporto minimo consigliato per un uomo di 70 chili. Quindi il latte non può essere certamente accusato di apportare troppe proteine. Infatti furbescamente gli affiancano carne e pesce, per poi dire che il latte apporta troppe proteine animali. Ma perché le proteine animali dovrebbero essere acide? Forse perché contengono gli amminoacidi solforati, dal cui metabolismo derivano prodotti acidi, perfettamente sopportabili senza danno alcuno. Allora equipaggiamoci di tabelle di composizione e facciamo due conti facili facili. Gli amminoacidi solforati sono cistina e metionina, il cui contenuto in 250 ml di latte è di 295 mg. Alimenti non animali che consumiamo tutti i giorni ne hanno di più: 80 g di pasta ne contengono 350 mg, 200 g di pane 690 mg, 250 g di spinaci 317 mg. Vogliamo aggiungere le tanto amate noci, mandorle o nocciole di cui non possiamo fare senza? 194 mg in 40 g di mandorle. Per non parlare dei semini di sesamo, quelli da cui i vegani vorrebbero prendere il calcio: 30 grammi di semini (il quantitativo che apporta la stessa quantità di due porzioni di calcio, un po’ più caro perché più calorico e meno biodisponibile) contengono 290 mg di amminoacidi solforati. Ci dovrebbero spiegare per quale motivo i 295 mg del latte demineralizzano l’osso e i 290 mg del sesamo no? Per non parlare di tofu e soia che hanno un quantitativo esorbitante di amminoacidi solforati (un hamburger di soia di un etto ne contiene 551 mg). In una giornata alimentare normale, senza consumare prodotti animali, il quantitativo di amminoacidi solforati si aggira intorno ai 2 grammi (2000 mg) e vogliono farci credere che sono i 295 mg del latte a demineralizzare l’osso?».

Bere latte è innaturale?

In molti siti di area vegana, si legge che bere latte di un’altra specie sarebbe innaturale. «Cosa ci dovrebbe essere di sbagliato a consumare alimenti di un’altra specie? Chi lo dice generalmente è un vegano, accanito consumatore di alimenti non solo di altre specie, ma addirittura di altri regni – afferma Andrea Ghiselli. – Il latte non è un alimento che la natura ha sviluppato per un adulto e su questo siamo d’accordo. Ma del resto la natura ha dotato il pollo della coscia per farlo camminare, non per il nostro sostentamento. Così come la mela serve per far nascere un altro melo. Cibarsi di alimenti di altre specie non è un comportamento innaturale, anzi, è naturalissimo. È molto difficoltoso per un animale andare a succhiare il latte dalla mammella di una vacca e ciò, in natura, impedisce che se ne verifichi l’opportunità. Ma lasciare una ciotola di latte a un gatto o a un cane dimostrerà quanto sia naturale per loro cibarsene».

Latte e benessere animale

Alcuni siti accusano gli allevatori di maltrattamenti nei confronti di vacche da latte e dei loro vitelli. A questi risponde Stefano Zuliani, direttore APA Milano: «L’uomo si è sempre nutrito di alimenti di origine animale e se oggi abbiamo tramutato ciò che una volta erano piccoli allevamenti destinati all’autoconsumo in allevamenti altamente specializzati, è dovuto al fatto che la maggior parte della popolazione del cosiddetto mondo civilizzato ha preferito trasferirsi dalle campagne in grossi centri urbani e guadagnarsi da vivere facendo cose diverse dal coltivare la terra o allevare bestiame. Inoltre, mentre trent’anni fa una famiglia contadina poteva garantirsi un reddito sufficiente allevando anche solo venti vacche, oggi per avere un’eguale ritorno economico ne servono almeno centocinquanta. Se un litro di latte viene pagato alla stalla quanto vent’anni fa, è evidente che per continuare a produrre latte non bastano più i quindici litri di media al giorno ma ne servono di più. Suggerisco due ulteriori riflessioni: la salute e il benessere degli animali sono condizioni indispensabili per produrre alimenti sani e di qualità, oltre a garantire la longevità degli stessi animali e l’eliminazione di farmaci curativi. Certamente ci sono stati periodi in cui l’attenzione verso questi aspetti non era considerata una priorità, oggi invece lo è. In secondo luogo non credo che l’allevamento del bestiame e l’utilizzo dei prodotti di derivazione zootecnica per scopi alimentari debbano essere banditi, come invece una certa cultura integralista tende o voler imporre come unica visione delle cose, altrimenti di cosa vivrebbero le popolazioni nomadi che popolano gli altipiani della Mongolia o gli Inuit? Per molte regioni italiane, la pastorizia è stata e continua a essere una fonte di sostentamento essenziale. Cosa ne sarebbe di intere vallate, se non fossero presidiate da allevatori che rimangono spesso in ambienti non confortevoli con i propri animali a farsi carico di curare il territorio traendone sostentamento?».