A febbraio l’Italia ha notificato il NutrInform Battery alla Commissione Europea. Uno strumento di informazione nutrizionale che indica la quantità di calorie e nutrienti presenti nella singola porzione e il loro apporto percentuale rispetto alla quantità giornaliera raccomandata. Un approccio informativo nato come alternativa, o forse sarebbe meglio dire in contrapposizione, al Nutriscore francese basato sull’attribuzione all’alimento di una lettera dalla A alla E, con colorazioni a mo’ di semaforo. Un sistema già adottato in alcuni Paesi europei, ma considerato dall’agroalimentare e dalla politica italiani al pari di un complotto contro il made in Italy. Perché, si dice, il giudizio nutrizionale del Nutriscore penalizzerebbe i prodotti agroalimentari italiani, tra cui molti formaggi, facendoli apparire al consumatore come poco salutari.
Senza entrare nel dibattito (oggi fin troppo politico) su quale dei due approcci (peraltro facoltativi) adottare, è evidente che entrambi vorrebbero suggerire ai consumatori comportamenti alimentari più corretti. Un intento più che sacrosanto. Ma ho l’impressione che pensare di farlo con un’ulteriore informazione in etichetta non sia garanzia di successo.
In primo luogo, perché le informazioni che il consumatore dovrebbe desumere dalle confezioni stanno diventando veramente tante. Forse troppe: origine, scadenza, modalità di conservazione, valori nutrizionali, con, senza, ricco o povero in….
In secondo luogo, perché qualsiasi indicazione nutrizionale è efficace solo nel momento in cui c’è un consumatore culturalmente in grado di comprenderla e di orientare conseguentemente le proprie scelte di consumo e acquisto. Basterebbe chiedere all’iconica casalinga di Voghera di spiegare il significato (semantico, non necessariamente nutrizionale) dei termini zuccheri, grassi e proteine. Per non parlare di quanti tra i consumatori sarebbero in grado di comprendere il significato dell’assunzione giornaliera degli stessi nutrienti. Con queste premesse, non è improbabile che il consumatore possa escludere a priori alcuni alimenti (o alcuni dei nutrienti che contengono) sulla base di una valutazione del tutto soggettiva dei rischi o dei vantaggi che tale esclusione comporta.
Senza dimenticare che le scelte alimentari sono condizionate anche dalla capacità di spesa. Che, quando bassa, porta i consumatori ad acquistare alimenti che soddisfano bisogni di livello inferiore, soprattutto nutrizionale.
Allora se l’intento è educare il consumatore penso che il semaforo o la batteria non siano comunque sufficienti. E neanche adeguati se i consumatori non percepiscono o non interpretano correttamente questo tipo di informazioni, o non le ritengono prioritarie per loro scelte di acquisto. La cultura alimentare e nutrizionale si dovrebbe invece creare nella Scuola. Dove impariamo l’alfabeto, i colori dello spettro luminoso e l’elettrochimica delle batterie. Senza comprenderne il significato quando affiancati (simbolicamente) a ciò che dovremmo, più o meno, mangiare.