L’impatto di contraffazione e Italian souding secondo Federalimentare

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cc32_05080Federalimentare ha fotografato la diffusione delle eccellenze agroalimentari italiane nel mondo nell’Atlante Geografico del Food Made in Italy, che illustra la diffusione dell’export agroalimentare nel mondo, i mercati più importanti e quelli che nell’ultimo anno hanno registrato le performance più rilevanti, senza dimenticare le sfide strategiche che le imprese italiane sono chiamate ad affrontare.

L’impatto della contraffazione e dell’Italian sounding, cioè l’imitazione di un prodotto, di una denominazione o di un marchio attraverso il richiamo alla sua presunta italianità che non trova fondamento nel prodotto stesso, è pari a 60 miliardi di euro, circa la metà del fatturato totale del prodotto dall’industria alimentare italiana (132 miliardi di euro) e praticamente il doppio rispetto ai 34,3 miliardi di export. Il fenomeno dell’Italian sounding è cresciuto del +180% negli ultimi dieci anni.

Contraffazione e Italian sounding sono diffusi ovunque nel mondo, a cominciare dall’Europa, ma il picco è nel Nord America, dove il fenomeno ha un impatto per 27 miliardi di euro. Negli USA, dove si registrano percentuali sconcertanti (sono imitazioni il 97% dei sughi per pasta, il 94% delle conserve sott’olio e sotto aceto, il 76% dei pomodori in scatola, il 15% dei formaggi), solo 1 prodotto alimentare su 8 di quelli venduti come Made in Italy è realmente italiano. Ma non sono da sottovalutare anche le conseguenze nella UE, dove contraffazione e imitazioni registrano un giro d’affari pari a 22 miliardi di euro. Sono molti i fattori che contribuiscono a frenare il Made in Italy nel mondo; alcuni esogeni come le barriere non tariffarie, altre endogene come la dimensione di molte imprese (troppo piccole per potersi permettere sforzi e investimenti per raggiungere mercati più lontani), l’assenza di piattaforme distributive italiane all’estero. Lo ha spiegato Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare: «L’industria alimentare italiana è la più grande creatrice al mondo di valore aggiunto nella trasformazione dei prodotti alimentari. Le enormi potenzialità per l’export stanno tutte in questo semplice principio, sta a noi saperle cogliere. Non possiamo accontentarci del +3,5% dell’export registrato nel 2014 e neanche del +5/6% previsto per l’anno in corso. Dobbiamo essere più ambiziosi sfruttando il fatto che per la prima volta l’intero sistema Paese (reti diplomatiche, organizzazioni di supporto all’export, ministeri competenti ecc.) ha deciso di considerare l’aumento dell’export agroalimentare un obiettivo strategico da perseguire».