Plant-based: non tutto il veg fa bene

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L’interesse per le diete a base vegetale, cosiddette plant-based, è aumentato rapidamente nell’ultimo decennio. Questa tendenza quasi generalizzata nei Paesi occidentali si è concretizzata con un aumento dei consumatori che a vario titolo (vegani, vegetariani ecc.) richiedono “alternative” alimentari senza latte e carne. Nondimeno, molte delle domande sollevate dal passaggio a una dieta povera (o addirittura priva) di prodotti animali rimangono ancora senza una chiara risposta. Quanto sono sostenibili le diete plant-based? Quanto modificano i modelli alimentari e socioeconomici? Che impatto hanno su sicurezza alimentare e nutrizione?

È opinione di molti che le diete plant-based da sole non risolveranno i problemi nutrizionali del pianeta. Intanto perché possono comportare il rischio di un’inadeguata assunzione di diversi nutrienti. Tanti affermano il contrario. Ma a che prezzo? Per esempio, la domanda di proteine vegetali da Europa e America del Nord ha in alcuni casi stravolto il mercato e, in conseguenza, il tessuto socioeconomico di territori dove tradizionalmente certi vegetali proteici vengono coltivati.

Le “alternative” a latte e derivati hanno anche un costo ambientale. Per esempio, fino a seimila litri d’acqua per produrre un litro di “latte” di mandorla. Senza contare che esistono aree vocate alla coltivazione di certi vegetali che pagano un costo ambientale aggiuntivo legato al trasporto dai luoghi di produzione a quelli di consumo. Al contrario, lo sfruttamento di aree non vocate per nutrire vacche permette di convertire, a basso impatto ambientale, vegetali poco o per niente commestibili per l’uomo in latte, alimento unico per qualità e densità nutritiva.

Peraltro, a differenza di latte e derivati, mancano dati certi sugli effetti a lungo termine di diete a base vegetale. Considerazione non irrilevante visto che molti prodotti plant-based attualmente consumati sono “ultra-processati”, e formulati con isolati proteici, additivi e coadiuvanti per ottenere caratteristiche sensoriali simili a quelle dei prodotti lattiero-caseari (e carnei). Una criticità recentemente sottolineata dall’OMS che ha messo in guardia dai “surrogati” vegetali di latte e derivati per la presenza di troppi coloranti, additivi e aromi, e la non equivalenza del contenuto nutritivo.

L’impatto globale di specifici stili alimentari deve quindi essere attentamente ponderato quando si prospettano opzioni (più) sostenibili per nutrire la (crescente) popolazione mondiale. Se si enfatizzano i benefici di una dieta plant-based a livello globale diventa quindi importante considerare tutti gli effetti ambientali, economici e culturali che può determinare. E, in tutti i casi, dovrà essere anche nutrizionalmente appropriata, accessibile e socialmente accettabile. Come accaduto per latte e derivati in tanta parte del mondo.