di Ivano De Noni.
Calcolare il numero di vacche da latte presenti nelle stalle italiane è come contare le pecore quando hai già sonno. Esercizio inutile o impossibile? Eppure, la questione non è di lana caprina, visto la relazione diretta tra tale numero e il volume di latte prodotto in Italia e, conseguentemente, tra il rispetto delle quote latte e la legittimità delle multe nei confronti delle aziende con esuberi produttivi. Le modalità per valutare la congruità di questa relazione non sono invece così dirette visto che il prelievo è calcolato sulla base di fatture di commercializzazione del latte di acquirenti e produttori, mentre il numero di capi da latte è quello desumibile dalla Banca Dati Nazionale dell’Anagrafe zootecnica. Questi due dati sono però il primo fondamentale elemento di riscontro per rapportare il volume di latte fatturato al numero di bovine da latte che l’hanno potenzialmente prodotto. Tuttavia, da quasi vent’anni, cioè da quando l’Unione europea incassa dallo Stato italiano i soldi delle multe scontandoli direttamente dai trasferimenti dovuti ai nostri allevatori, si danno i numeri. Nello stesso periodo a oggi si sono susseguite diverse Commissioni parlamentari per far chiarezza sui numeri. Fino all’indagine del 2010 del Comando Carabinieri del MiPaaf che stimava in circa 300.000 capi in meno (rispetto alle valutazioni AGEA) l’effettiva consistenza dei bovini da latte e di conseguenza ipotizzava una sovrastima dell’esubero complessivo di latte nazionale. Sulla base di questa indagine, recentemente il tribunale di Roma ha archiviato una denuncia nei confronti di AGEA per presunta truffa sulle quote latte. Secondo l’accusa AGEA, allo scopo di giustificare il dato di produzione in eccesso, avrebbe modificato (da 120 a 999 mesi) il limite di età dei capi bovini da latte, preso a base per la verifica di compatibilità delle produzioni nella Banca Dati. Curioso il fatto che il Tribunale archivi il reato di truffa poiché manca la prova che tutto sia stato fatto con la piena consapevolezza e volontà, ammettendo nello stesso tempo possibili gravi condotte dei funzionari AGEA. È anche vero però che il limite di 120 mesi fu adottato nei primi anni 2000 per sopperire alla non completa affidabilità della Banca Dati la cui attendibilità verrà riconosciuta (sic!) nel 2006, più di vent’anni dopo l’istituzione delle quote. Altrettanto vero è che la variazione del predetto limite fu decisa nell’ambito del gruppo tecnico regioni-AGEA a decorrere dalla campagna 2007/2008. Inoltre, secondo AGEA, la variazione del limite avrebbe comportato l’inclusione nella Banca Dati di soli 50-60mila capi in più, e non 300.000. Di chi è la ragione? Di certo tra Regioni, Sevizi Veterinari, enti controllori o erogatori, competenze e… sentenze, qualcosa non ha funzionato, almeno nei numeri. In matematica, ogni cosa è impossibile o banale, tanto quanto in Italia la querelle politica e giudiziaria. Così come più di vent’anni fa l’avvento delle quote creò il problema, la loro prossima scomparsa lo risolverà, almeno in parte. Magra consolazione in un Paese in cui i conti non sembrano tornare mai, e quasi sempre vanno… in vacca.